Di AMAR – A bocce ferme e cioè a finestre chiuse (l’estate è trascorsa), ora parliamo di rumori molesti. E, a tempi lunghi, pure funesti. Si tratta di pericolosi nostri antagonisti, annidati dietro ogni angolo d’ogni città, che – sembra un paradosso – l’uomo crea, con le sue frenesie, poi li subisce. L’uomo che ha costruito l’ambiente urbano come il bozzolo del baco da seta. Se l’è tessuto tutt’intorno, finendo prigioniero di una condizione sociale martoriata dall’alienazione.
Terni, in fatto di inquinamento acustico, somiglia ad una metropoli. La vita quotidiana è “ricca” di cacofonie. A fare da perenne motivo di fondo c’è il settore industriale, con in testa la grande fabbrica che produce acciaio e rumore. Certo, meno del passato, quando il maglio gigante batteva la mazza e faceva tremare le case attorno. La colonna sonora è integrata egregiamente dalla circolazione stradale caotica, male organizzata, peggio vigilata e spesso inutile. Nel teatro del disturbo clamoroso, il traffico rappresenta l’attore protagonista e impatta fortemente sull’ambiente, alterandone gli equilibri. Quando poi questo “nemico” si allea con altri, presenti nell’atmosfera, allora la condizione dell’ “agglomerato urbano” (per dirla con gli strateghi dell’edilizia ad ogni costo) diventa degradata. A Terni, da tempo, lo è.
Non sono mai andato d’accordo con il rumore: se son desto, mi impedisce di dormire, se dormo, mi sveglia, se sto scrivendo, mi distrae. Invece, posso nutrirmi di silenzio. Non certo il silenzio del pastore all’alpeggio, rotto soltanto dal belare degli armenti. Però, mi affascina la quiete dei piccoli borghi, dove si dimora ancora a misura d’uomo. Quando mio nonno, d’estate, faceva la siesta, a noi ragazzi era severamente vietato fare qualunque schiamazzo, peraltro esaltato dalla taciturna campagna. Vietato per consentire all’avo il riposo e per una forma di rispetto. Quel rispetto che, nell’epoca attuale, non esiste più neppure all’interno dei palazzi, tra un appartamento e quello vicino. Spesso è il volume del televisore a dettare i ritmi della veglia e del sonno. Dicono che, nella giungla, gli animali si riconoscano, l’un l’altro, dall’odore. Dove abito io, i condomini li riconosco dal rumore. Dal rimbombo delle scarpe (perché le pantofole no?) sul pavimento, da come sbattono l’uscio di casa loro, da come vociano per le scale, dal frastuono di tutte le tapparelle delle finestre, abbassate a notte fonda, dal tifo da stadio organizzato in salotto, con parenti ed amici, durante la visione delle partite di calcio.
Contro la rumorosità urbana non c’è rimedio. E talvolta il benessere si trasforma in malessere fisico e psichico. Ho pietà per coloro che sono costretti a subire il diavolio imbelle della movida; i suoni e il clamore del bar sottocasa; il rombo dei motori in riparazione nell’officina accanto; lo sballo della discoteca di fronte; l’aggressione sonora degli spettacoli all’aperto. E persino la “musica obbligatoria” che si è costretti a sopportare mentre si fa la spesa. Se, a Terni, finisci in ospedale, oltre ai triboli della malattia, ti tocca “abbozzare” pure il trambusto, trasformato in costume dal personale sanitario e dai visitatori.
La scienza, per talune aggressioni a colpi di decibel esagerati, ipotizza minacce di sordità. Ora, che si possa rischiare danni all’udito per buscarsi la pagnotta – per esempio, in Acciaieria – è già quasi assurdo. Che lo stesso pericolo possa esistere – ancora, per esempio – nei luoghi di divertimento, appare demenziale. Una volta, la sordità era un handicap quasi naturale, limitato alla sfera dell’anziano; nel futuro moderno, si prevedono ampi spazi per i giovani.
La difesa dalle sonorità sgradite rappresenta dunque una crociata. Ma non c’è speranza alcuna di conquistare Gerusalemme senza l’ausilio dei cosiddetti “chi di dovere”. Cioè, le autorità incaricate di imporre il rispetto normativo, con in prima fila l’Amministrazione comunale, l’ASL, l’ARPA, l’Agenzia per la protezione ambientale; e senza la diffusione di una maggiore sensibilità tra i cittadini. Allora, in chiusura, mi permetto di ricordare agli uni e agli altri, l’esistenza – in tema di lotta al rumore – delle seguenti regole codificate: (1) Legge quadro nazionale sull’inquinamento acustico (L. 26.10.1996, n.447); (2) Legge regionale dell’Umbria sul contenimento e la riduzione dell’inquinamento acustico (L. R. 6.6.2002. n.8); (3) Regolamento di attuazione della L. R. n.8 (Reg. 13.8.2004, n.1). Si capisce, salvo successive aggiunte e modificazioni. A “quelli del cambiamento”, che governano Terni, mi sia consentito di suggerire un ripasso dei suddetti provvedimenti che prevedono importanti incombenze a carico degli Enti locali. Insieme alle predette “successive aggiunte e modificazioni”, formano un quadro normativo di riferimento contenente le linee guida nella materia in oggetto (per esempio, i Piani di risanamento acustico).
Negli ultimi tempi, a Terni, a fronte di una aumentata rumorosità molesta, un’altra ce n’è, assai importante, invece messa a tacere. E’ sparito il rumore del discutere e, se volete, del contestare, del dissentire, del disapprovare; il rumore del confronto popolare sui principali problemi (ce ne sono molti e urgenti) per cercare le soluzioni condivise. E’ questo il silenzio nocivo, che fa decadere l’impegno civile. Sarebbe cosa buona e giusta – lo scrivo per citazione – ritrovare l’esemplarità di Palazzo Spada, la municipalità per eccellenza, come luogo della politica e dall’amministrazione e punto essenziale di confronto della proposta e della progettualità. Tacciono purtroppo i giovani, tacciono i partiti, tace il sindacato, tacciono le categorie produttive. Da tempo, è in uso il silenziatore. E nessun mutamento di metodo sembra alle viste. S’ode attorno un preoccupante mutismo politico, culturale, sociale. A Terni, insomma, è quasi sparito il rumore della democrazia e della partecipazione. Zitti, la città dorme!