di Bruno Di Pilla – Tra le opere pubbliche, indispensabili per accrescere il ruolo e lo stesso decoro urbanistico dell’augusta Perugia, spiccano la creazione della cittadella giudiziaria in Piazza Partigiani, la sistemazione dell’ex mercato coperto di Piazza Matteotti e dei sottostanti arconi, nonché l’ormai improrogabile ristrutturazione, con annessa copertura, dello stadio “Renato Curi” a Pian di Massiano, costruito nell’estate 1975 dalla SICEL di Spartaco Ghini e precipitato al terz’ultimo posto, nel ranking UEFA, fra gli impianti calcistici italiani. La realizzazione dei tre progetti è davvero irrinunciabile, sebbene il restyling del “Curi” necessiti di cospicue somme, che dovrebbero essere stanziate non solo dal Comune, ma anche dalla società presieduta da Santopadre. La soluzione ideale sarebbe, come sempre, la cessione all’AC Perugia del diritto superficiario e, dunque, la creazione di un impianto di proprietà privata, sulla falsariga di quanto è già avvenuto a Torino, Udine, Frosinone, Benevento, Sassuolo e sta per verificarsi nella Capitale, dove sembra stia per sorgere a Tor di Valle, dopo interminabili polemiche, lo stadio della Roma.
La questione, però, è di lana caprina. Per la sistemazione della pluriquarantennale infrastruttura sportiva perugina servirebbero, infatti, una quindicina di milioni, che non sono agevolmente reperibili né da Palazzo dei Priori, né dal Presidente Santopadre, malgrado la buona volontà più volte emersa ed i rendez-vous organizzati dai soggetti interessati, cui, di recente, ha preso parte anche la Governatrice dell’Umbria Catiuscia Marini, che ha promesso un concreto sostegno finanziario della Regione.
Sono tanti, 15 milioni. Considerando l’oculatezza della gestione Santopadre, unico proprietario del Perugia, che non è uno sceicco o un Paperone di Borsa ed è anzi abilissimo nel raggiungere l’obiettivo di un mirabile equilibrio annuale di bilancio tra entrate e spese, è inimmaginabile un suo impegno unilaterale per la “nascita” di uno stadio di proprietà. In altri termini, gli servirebbero finanziamenti esterni d’imprenditori o multinazionali che, però, reclamerebbero un peso specifico in società, rendendo assai meno autonome e decisive le scelte del Presidente. E chi ne conosce il carattere, al di là dei ben noti trascorsi, quando il Perugia militava nelle serie inferiori, ha sempre escluso una sua “coabitazione” con altri personaggi.
Bisogna pertanto prendere atto della realtà. Il mitico “Curi”, a meno d’improbabili colpi di scena, resterà un impianto pubblico ed i quattrini per il suo ammodernamento dovranno essere trovati, di comune accordo, dalle parti in causa. Forse è meglio così, in una città da sempre orgogliosa delle proprie radici e refrattaria ad ogni forma di sottomissione.