A prima firma di Emidio Albertini, Professore Associato e Presidente del Comitato Unico per le Pari opportunità dell’Università degli Studi di Perugia è uscito sulla prestigiosa rivista Journal of Experimental Botany un opinion paper dal titolo “Did apomixis evolve from sex or was it the other way around?” nel quale si ribaltano le teorie in voga da decenni sulla origine della capacità di alcuni organismi di riprodursi senza sesso. Dal sottotitolo “the mistery of apomixis” l’articolo pone le basi per una nuova teoria: la riproduzione asessuale era la norma mentre quella sessuale si è sviluppata solo successivamente.
“Sex is the queen of problems in evolutionary biology” scriveva Bell nel suo trattato “The Masterpiece of Nature, The Evolution and Genetics of Sexuality”. Infatti la riproduzione sessuale ha da sempre rappresentato il mistero dell’evoluzione; il fatto che la natura abbia selezionato due sessi affinché si potesse andare in contro alla ricombinazione genetica, ha gettato le basi per il superamento dei cambiamenti che l’ambiente stesso subiva e ha permesso agli organismi viventi di adattarsi e sopravvivere.
Per anni anni gli studiosi hanno creduto che la riproduzione asessuale (sia la partenogenesi animale che l’apomissia vegetale) si fosse sviluppata come deviazione dalla riproduzione sessuale per sfuggire al cosiddetto “costo del sesso”. Questa visione implicava che la riproduzione sessuale fosse la condizione predefinita, ma nell’articolo gli autori discutono le origini enigmatiche dell’apomissia e propongono come ipotesi alternativa un mondo in riproduzione asessuale e sessuale siano state polifeniche.
Ma cosa sono partenogenesi e apomissia?
Secondo la mitologia greca, Zeus e Meti avevano concepito un figlio ma quando Meti era sul punto di partorire, Zeus la ingoiò. Poco tempo dopo, avvertì forti dolori alla testa, chiamò Efesto e gli ingiunse di colpirlo con l’ascia sul cranio. Ne uscì fuori una giovane donna, vestita di tutto punto, scudo ed elmo compresi: la dea Atena. La nascita di Atena dalla testa di Zeus avviene dunque per partenogenesi, che letteralmente significa nascita (genesis) vergine (parthenos), nascita senza fecondazione. A lei, infatti, sono state dedicate grandi opere d’arte tra cui il Partenone (da “Parthenos”, “Vergine”), il tempio più armonioso e il più celebre di tutti i templi della Grecia. Il termine partenogenesi, usato da poco più di un secolo e mezzo in biologia, si riferisce più che altro allo sviluppo di organismi da gameti femminili in assenza di fecondazione. Se questo è vero per molte piante, lo è altrettanto per insetti, molti animali fino ad alcuni mammiferi come lo squalo martello.
Mentre negli animali il termine utilizzato è ancora partenogenesi, nelle piante la partegonegeni rientra in un fenomeno ancor più ampio chiamato apomissia. Infatti, nel lontano 1829 i Kew Gardens di Londra ricevettero 3 piante femminili di una specie dioica Australiana della famiglia delle Euforbiaceae che fino a quel momento era rimasta sconosciuta. Il 18 Giugno 1839, presso la “Linnean Society of London”, John Smith, primo curatore dei Kew, annunciò che, nonostante le avesse tenute sotto stretto controllo per 10 anni, queste piante producevano seme anche in apparente assenza di polline. Egli affermò: “la mia ricerca di strutture riconducibile ad un apparato riproduttivo maschile non ha avuto successo”. A quei tempi nessuna pianta, che potesse essere minimamente imparentata con la specie in questione, veniva coltivata presso i Kew Gardens ma, nonostante questo, ogni anno i 3 individui femminili producevano frutti contenenti semi vitali e Smith poté allevare, di anno in anno, progenie “identiche alla pianta madre”. Questa caratteristica peculiare fece sì che a tale specie venisse dato il nome di Caelebogyne ilicifolia — da “caelebs, celibe” e “γυνή, donna” — per indicare una “pianta in cui il polline non è essenziale per la formazione del seme”. Da quel momento venne avviata una lunga diatriba sulle cause del fenomeno che, solo dopo quasi mezzo secolo, venne identificato con il termine di apomissia.
Coautori del prof. Albertini sono Fulvio Pupilli del CNR di Perugia, Gianni Barcaccia dell’Università di Padova, ma anche lui perugino di origini, e John Carnam dell’Università dello Utah.