di AMAR – I fatti di Amelia e delle due donne scomparse, addirittura pare sciolte nell’acido con metodo mafioso, se dovessero essere confermati in Tribunale (a Terni, negli ultimi tempi, la Procura ha subito qualche “inciampo” di troppo); in caso di conferma – dicevo – assumerebbero una altissima dimensione criminale. Il femminicidio sembra un reato diventato di moda. Odioso e ammantato di barbarie. Se ne sta discutendo nella sede giusta, per trovare una normativa che faccia da deterrente contro le ignobili sopraffazioni dell’uomo – patriarca di stampo medievale. E in sede sociale per affermare una nuova cultura di rispetto verso le donne, in una concezione civile paritaria.
Leggendo qualche riferimento in materia, ho incontrato, giorni fa, il campione mondiale di femminicidio: si chiama Henri Desiré Landru, detto Barbablu per via del pelame folto e poco accattivante, che però, stando alla sua carriera da malfattore, pare piacesse alle signore. Mi ha ricordato che lui non una, ma dieci di donne ne ha uccise, in Francia, nel periodo che va dal 1915 al 1919. Quindi, merita il titolo, per niente onorifico, di recordman in materia oppure di serial killer.
A parte questi epiteti da lui reclamati, nel presentarsi mi ha raccontato d’essere nato da famiglia modesta, il padre pompiere, la madre casalinga e sarta. E’ cresciuto come ragazzino a modo, dagli atteggiamenti garbati. Diventato adulto ha avuto una figlia da una cugina, successivamente altri quattro dalla legittima moglie. La condizione economica pesante lo ha fatto incamminare lungo una strada traversa. Dice d’essersi accorto, da uomo maturo, che era possibile vivere con qualche agio, potendo disporre liberamente delle risorse finanziarie di signore benestanti. Idea dongiovannesca interessante, anche se di nessuna originalità. Comunque, per realizzarla, occorreva una adeguata messa in scena, onde costruire un acconcio biglietto da visita. Seppure alquanto ballista.
A sentirlo dire, sembra si atteggiasse a persona austera, ottimo parlatore, bravo nel convincere e di più nell’abbindolare vedove e nubili attempate, con qualche frenesia sopravvissuta, titolari di succulenta pecunia. Di buon fascino il profilo proposto a mezzo stampa, pressappoco così: “Vedovo sulla cinquantina, serio, buona cultura, facoltoso benestante, conoscerebbe pari età e posizione economica, scopo matrimonio”. In buona sostanza, si mise in testa di apparire, se non proprio il principe azzurro, di sicuro un gentleman di totale affidamento. Seppure non di primo pelo.
Nel racconto, ha aggiunto con sussiego: “Ci voleva anche una dimora adeguata, quanto meno una villa, affittata in luogo seducente e appartato”. In tal modo preparata la tela del ragno, occorreva soltanto aspettare la prima mosca. Altro che una: ne arrivarono, tempo quattro anni, uno sciame. Tutte sedotte e strangolate. Previo rilascio di formale delega utile per saccheggiare, a man bassa, ogni loro avere. Oggi, si direbbe tanta roba. Soprattutto da smaltire. C’era nella grande cucina della villa, un forno, per ciascuna usato da crematorio. E le ceneri sparse nei campi attorno. Insieme ai resti arsi di un fanciullo, capitato in villa, per caso, a fare da accompagnatore di una delle vittime. E passato pur’esso per il camino.
Sostiene il bruto: “Operazioni eseguite con la massima accortezza e pulizia possibile”. Non fu possibile invece evitare l’olezzo fetente sprigionato dalla canna fumaria. Vi si accendeva il fuoco persino in tempo di solleone. Una volta, due, tre, dieci e, alla fine, i vicini di casa, seppure abbastanza lontani, cominciarono a reclamare presso il Comando di polizia, che all’inizio non prese le cose sul serio. Figurarsi, l’abitante della villa, così brava persona! Accusarlo poi di qual cosa: inquinamento dell’aria? Finché non cominciarono ad arrivare gli esposti di familiari di donna scomparsa, al quale magari la sparizione della congiunta importava poco o punto; di più la “mungitura” del conto corrente.
Siccome, lo sostiene il proverbio, spesso il diavolo sa fare le pentole, ma non i coperchi, nella pentola del satanasso Landru ci andarono a vedere dentro e, pian piano, un indizio, poi un altro, un altro ancora, tre indizi fanno una prova e Barbablu fu assicurato alla giustizia, ogni malefatta venuta allo scoperto. L’eco dell’arresto di cotanto seduttore – omicida percorse non solo la Francia; divenne notizia seriale, con molti colpevolisti e soltanto rari innocentisti, tanta era sgradevole la figura del cotanto sciupafemmine.
Il 7 aprile 1921, ebbe inizio il processo. Un giudizio, pesante nei contorni macabri e nello svolgimento. Si trattava di dar conto di accuse quasi incredibili, senza avere altro che qualche osso rinvenuto qua e là, talmente accurato era stato l’iter della mattanza. L’imputato un po’ smargiasso, testardamente a dichiararsi estraneo ai fatti addebitati. Al punto da sollecitare la Corte in tal modo: “Dove sono i cadaveri? Mostrateli!”. Alla fine, Henri Landru, il freddo ammazzasette (anzi, undici), che mai aveva perso la testa per una donna, la perse sulla ghigliottina.
Ad immortalare la vicenda, addirittura in forma allegorica, ci ha pensato il cinema con titoli come “Monsieur Verdoux” di Charlie Chaplin, “Le dieci lune di miele di Barbablu” e ancora “Totò e le donne”; poi “Desiré Landru” in televisione e persino “riferimenti” in libri di un certo interesse letterario. Ci fosse stata, in illo tempore, la nostra televisione parolaia, sai quanti sbattimenti!