di AMAR – E’ proprio vero che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Nella fattispecie, si tratta del Mare Adriatico, attraversato dal tratto terminale del Trans Adriatic Pipeline (TAP), il grande gasdotto destinato a portare in Europa 10 miliardi di metri cubi di gas l’anno. Un’opera fondamentale per la differenziazione dell’approvvigionamento energetico. Iniziato a costruire nel 2016, il gasdotto ora è entrato in funzione e già se ne prevede il raddoppio di portata. Quindi, uno “strumento di trasporto” in linea con le moderne teorie ecologiche.
Dopo aver attraversato per intero la Turchia, la Grecia, l’Albania, il mare, percorrendo 870 chilometri, è approdato, per un tratto breve, nel territorio italiano, in provincia di Lecce. E proprio lì, negli anni passati, si è combattuta la solita guerra contro i mulini a vento, protagonisti i “combattenti del NO” che scendono in campo ogni qualvolta c’è da estremizzare le posizioni del massimalismo ambientale. Differente dal sacrosanto presidio a difesa dei valori umani e naturali.
Alla resa dei conti, possiamo metterla così: nel contenzioso aperto in Puglia, per avversare la posa in opera di un breve segmento del gasdotto, ha vinto la ragionevolezza e il buon senso. “L’incipit nostalgico, da Arcadia perdente e violata – ha scritto il collega Gioffredi su Il Messaggero – va troncato sul nascere”. Come dire, la fine del mondo, preconizzata per quel territorio, non c’è stata. Anzi appare a buon punto l’operazione di ripristino consistente – i dati sono ancora di Gioffredi – nel reimpianto degli 828 ulivi, a suo tempo espiantati e conservati vegeti (la primitiva ragione del disputare). Con messa a dimora di ulteriori 930 piante resistenti al micidiale batterio della xilella. Intorno all’impianto di ricezione, sono stati collocati 12.000 alberi, che, a breve, formeranno un bosco aperto al pubblico. I terreni coinvolti nei lavori li hanno riconsegnati ai proprietari in ottime condizioni. Quindi si può tornare tranquillamente a “posare il telo e lo sdraio sopra il tubo”.
Chi ci ha messo la faccia nell’operazione da indiani contro la ferrovia, l’ha persa. L’intelligenza ha prevalso sulla mediocrità di alcuni politici improvvisati e degli esagitati seguaci del no e del nulla. Non poteva essere altrimenti, perché il flagello raccontato era una favola, diffusa insieme alla rappresentazione della paura. Il paradigma, cioè il modello guida agitato a modo di vessillo, dai notap si è rivelato una forzatura. La “grande ricchezza” (economica) fornita dal gasdotto, non ha sconvolto la “grande bellezza” di quei luoghi, appartenenti al rinomato patrimonio paesaggistico della regione Puglia.
E’ la dimostrazione che, in Italia, ben altre sono le azioni di tutela dell’integrità e del ripristino ambientale. Le sfide climatiche, le violazioni degli ecosistemi sono di altra dimensione. Si tratta di problemi da affrontare allo scopo di rimuovere situazioni di notevole pericolosità a danno della natura e dei cittadini (una indicazione per esemplificare: lo stoccaggio unico dei materiali nucleari inquinati). Anche le opposizioni, che hanno implicazioni di carattere politico, vanno condotte su livelli civili e culturali adeguati, altrimenti smarriscono, nel radicalismo, il giusto significato.