di Adriano Marinensi – In fatto di summit internazionali sulla tutela ambientale, c’eravamo abituati alla solita montagna che partorisce il solito topolino. Qualche risultato, però deludente, era venuto da Rio de Janeiro, Kyoto e Copenaghen. Questa volta Parigi, almeno stando agli atti sottoscritti, qualcosa di buono sembra averlo prodotto.
Punto rilevante e forse fondamentale è che – per la prima volta – in calce al documento finale ci sono le firme impegnative di U.S.A., Cina e India, vale a dire dei tre maggiori “untori” del pianeta e propagatori della “peste” che sta provocando il dannosissimo effetto serra. Hanno finalmente capito che, per non precipitare l’umanità nel baratro del disastro ambientale, è urgente adottare provvedimenti pesanti e sopportare pure sacrifici. Le decisioni di Parigi, se realizzate – è stato calcolato – faranno sparire dalla faccia della terra 7 milioni di tonnellate di anidride carbonica, la maggiore responsabile del riscaldamento del pianeta. Altro punto rilevante : l’aumento medio della temperatura globale, da qui alla fine del secolo, dovrà essere contenuto entro il limite dei due gradi (uno e mezzo, se ci impegneremo a fondo).
E’ ovvio che, per arrivare al traguardo, occorrerà scalare montagne, intese come resistenze messe in campo a difesa della rendita finanziaria che ruota intorno al grande business delle materie prime fossili e di quant’altro produce profitti inquinando. Per rimuovere tali impedimenti (cioè, quelli di sempre) sarà necessario ardimento, responsabilità politica, impegno intransigente. Questa volta il vantaggio è dato dalla volontà comune di 195 Paesi, espressa a Parigi. E potrebbe essere un’arma non convenzionale.
La vorace fame di energia, diventata necessaria per sostenere i ritmi di sviluppo economico ad ogni costo – il costo sopportato dalla natura – ha moltiplicato l’uso dell’energia nucleare e del carbone. Il nucleare, al netto dei pericoli derivati dagli incidenti realmente accaduti, ci ha posto di fronte all’enorme problema dello smaltimento delle scorie; gli effetti dell’uso esasperato del carbone li abbiamo conosciuti guardando le foto di Pechino che sembrava avvolta dalla nebbia novembrina, invece era un terrificante miscuglio di sostanze tossiche e nocive. Simili a quelle sparse nell’aria mefitica di Roma e Milano (e anche di Perugia, Terni, Foligno ed altre “terre umbre” densamente affumicate).
C’è poi da vincere un altro “contrasto di obiettivi”, esistente tra il reperimento di nuove superfici coltivabili ad uso alimentare e l’integrità delle grandi foreste che sono elementi fondamentali per la bonifica dell’aria. Dovremo quindi ridurre l’assalto alle aree boschive, recuperando capacità di produzione lungo la filiera della coltivazione, anche attraverso nuove tecniche agrarie, però in sintonia con quelle naturali. Assoluto rispetto meritano i mari e gli oceani che svolgono una fondamentale azione equilibratrice dell’ecosistema mondiale. L’uso fatto nel secolo scorso è criminale. Durante le guerre, vi abbiamo inabissato ordigni di forte impatto ambientale (bombe, siluri, missili, intere flotte di aerei e di navi); in tempo di pace, gli esperimenti atomici, negli anni della guerra fredda, sopra e sotto le isole, hanno generato mostri. Senza dimenticare che sono finite nei mari e negli oceani enormi quantità di materiali d’ogni risma (compresi gli “sversamenti” delle petroliere) nocivi per la fauna ittica e l’integrità idrica. Con drammatiche conseguenze sulla salute dell’uomo. I rifiuti di plastica hanno addirittura formato isole di ampiezza madornale e rimarranno testimoni delle nostre malefatte ancora per secoli.
Nel successo del “capitolato di Parigi”, ci deve sperare anche l’Umbria che ha interessi ambientali rilevanti e un tesoro storico da tutelare. Una specificità originale e peculiare alla quale si legano, tra l’altro, i progetti strategici di avanzamento economico e culturale, da ricercare fuori dal campo dell’industria, che, in taluni casi, mostra addirittura collocazioni in siti anomali. Possediamo risorse importanti da utilizzare attraverso una armonica programmazione degli interventi di valorizzazione delle aree a vocazione storico – ambientale. Forse qualche “mea culpa” la dobbiamo fare per le disattenzioni del passato. Due esempi per chiarimento : la distruzione della Spoleto – Norcia, testimonianza irripetibile di genio ferroviario e la degenerazione idrica del Lago di Piediluco, opera d’arte disegnata nella natura. Due “vittime” di visioni politiche mediocri.
Per concludere l’argomento ancora in casa nostra, mi pare doveroso far cenno ad una idea che ha diretta connessione con la bonifica del territorio : il recupero dei materiali riciclabili contenuti nelle scorie della siderurgia che, a Terni, hanno formato una collina artificiale e pericolosa, a due passi dal centro urbano. Evidentemente, l’azienda (leggi A.S.T.) ha preso coscienza del pesante debito ambientale contratto con la città e vuole pagarne almeno una parte. Terni, soprattutto durante il secolo scorso, ha dovuto subire un costume ambientale in sintonia con la sua storia industriale. Storia scritta dalle ciminiere fumanti e da bassi livelli di sensibilità per le esigenze sanitarie delle comunità locali. Quell’epoca ha “innalzato” la collina delle scorie che ora si sta pensando di ridimensionare, attraverso un (lodevole) concorso progettuale di livello europeo. E l’Europa (delle Istituzioni), dalla quale è partito il nuovo messaggio di Parigi, speriamo ci possa dare una mano.