Di Adriano Marinensi – Siamo dentro una cultura democratica che formalmente affida al popolo la gestione della res publica. Ho scritto formalmente perché, di fatto, i cittadini vengono consultati nei periodi elettorali e non più nei momenti di formazione dei provvedimenti amministrativi. Invece, partecipare vuol dire far parte e il cittadino singolo oppure organizzato, fa parte se gli sono consentite frequenti occasioni di impegno propositivo nelle fasi di formazione almeno delle deliberazioni più importanti.. Ci sono due condizioni preliminari necessarie per rendere la partecipazione utile e di buon livello: la promozione culturale e la diffusione delle informazioni.
L’esempio – mi sia consentito – lo traggo dall’esperienza che facemmo, in Umbria, a partire dai primi anni ’70, durante la rivoluzione regionalista. I Centri studi “Mattei” di Perugia e “Vanoni” di Terni furono gli strumenti creati proprio per qualificare il processo di partecipazione, attraverso iniziative culturali (la Sala di Via Carrara), affiancate da mezzi di comunicazione come la rivista “Quaderni Umbri” ed il periodico “Agenzia regionale dell’Umbria”. Funzionarono da elementi propulsivi per attuare l’idea riformatrice di quello che fu definito il “modo nuovo di fare politica”. Il messaggio modernizzatore giunse anche alle Istituzioni locali ed aprì la fase positiva della sistematica consultazione e del coinvolgimento popolare nel processo amministrativo. All’interno di un metodo di programmazione pensata per fare da guida agli interventi di riordino del sistema generale.
Le Istituzioni umbre vissero una storia di democrazia reale. Poi, più avanti, arrivò il tempo della “controriforma” e cioè del ritorno – forse non pensato, forse involontario – verso la “democrazia debole”, così diventata in quanto la voce dell’agorà non ebbe più il dovuto ascolto. La base e il Palazzo tornarono ad essere due mondi separati. S’era fortemente affievolita l’idea del coinvolgimento e della riflessione comune. Prevalse, soprattutto negli ambienti della Regione, il solito neghittoso passo del metodo burocratico, che finisce sempre per imbastardire lo sforzo innovativo. Perché, la conservazione va d’accordo con la pigrizia intellettuale e orienta verso il giaciglio del potere comodo. Se, nella attuale fattispecie riguardante l’intera Umbria, ci aggiungiamo qualche pizzico di dilettantismo, l’orizzonte diventa grigio. E si finisce nell’insufficienza dei risultati. Insufficienza che grava in prevalenza sui giovani.
Eppure, nel 1970, la partenza era stata buona. Aveva suscitato entusiasmo proprio in molti ambienti giovanili e culturali dove il rinnovamento fu obiettivo coinvolgente. Una interessante legge venne approvata dal Consiglio regionale: la L. R. 10/7/1972 n.4 avente per oggetto: Norme sulla partecipazione dei cittadini all’esercizio delle funzioni regionali. Quell’intervento legislativo produsse un movimento di idee e di proposte. Regolamentava l’aspetto politico strategico per realizzare un Ente regionale dinamico, efficace, stimolatore di progresso.
Ho ricordo di ciò che accadde anche a Terni per essere stato tra i presenti nella vicenda amministrativa. Gli atti di maggiore contenuto del Comune sottostavano ad una regola: prima di avviarli alla discussione in Consiglio, dovevano essere portati alla partecipazione. Regola qualificante, non trasgredibile. In riferimento alla situazione attuale, dobbiamo confessare che quella regola è stata poi disattesa. Oggi le decisioni e le scelte sono a soggetto unico. Occorre prendere coscienza della perdita democratica causata da tale archiviazione. In sostanza, il potere è rientrato nelle stanze del Palazzo e nelle mani della tecnocrazia. Questo ha prodotto una palese involuzione. Promuovere un movimento culturale che rimetta in moto le procedure politiche della partecipazione potrebbe contribuire a ritrovare la via d’uscita dalla stasi generale che ha imbalsamato il territorio su posizioni di retroguardia. Siamo caricati di problemi difficili da risolvere: la consultazione, il dialogo, il confronto tra le componenti attive della società civile (tutte!) potrebbero recare un contributo che può fare da volano alla ripresa.
E siccome ho parlato di problemi presenti a Terni, vorrei porne almeno uno all’attenzione della politica e dell’opinione pubblica. Si impone l’urgenza e l’esigenza di rimettere verso il vertice delle priorità la crisi rappresentata dalla crescita degli stati di disagio socio – economico che, nell’ultimo periodo, stanno interessando molte persone e interi nuclei familiari. Altrimenti prevarrà per loro l’emarginazione e l’avvicinamento pericoloso al confine della povertà. Non c’è più tempo per loro e neppure per chi ha il diritto – dovere di governare la comunità. La messa a disposizione di risorse adeguate a rimuovere il disagio è una scelta politica di fondo, commisurata alla sensibilità verso chi è rimasto indietro. Necessario è altresì il coordinamento delle iniziative nel settore della solidarietà, senza mire di dirigismo, al solo scopo di massimizzare l’efficienza dei servizi, degli interventi pubblici e del volontariato. E’ pure questa una strada che fa parte del grande percorso della partecipazione.