Di Adriano Marinensi – Il foglio di giornale è ingiallito, ma perfettamente leggibile. Il titolo- – a tutta pagina – annuncia: Oggi a Viterbo si gettano le basi per la realizzazione della Civitavecchia – Terni – Rieti. La notizia sarebbe allettante se quell’oggi fosse … oggi. Invece la data del giornale è questa: 9 dicembre 1965. Sì, millenovecentosessantacinque. A Viterbo ebbe luogo uno di quei Convegni che, solitamente vengono definiti strategici perché vi presero parte autorevoli rappresentanti di quattro regioni (Lazio, Umbria, Marche, Abruzzo) e Amministratori di Roma,Terni, Rieti, Viterbo, Frosinone, Civitavecchia, Latina e perfino dell’Aquila. Il motivo conduttore fu l’importanza dell’opera viaria per l’intero territorio attraversato e soprattutto la necessità – si noti bene – di una rapida realizzazione. Accordo unanime sulla necessità ed urgenza che mise già, da allora, una allettante e autorevole prima pietra politica.
Ecco un passo del resoconto: “Tutta l’Italia centrale guarda con attenzione al Convegno dedicato alla grande arteria (sic!) come uno dei cardini sul quale dovrà far leva il futuro economico delle regioni interessate”. A parere del cronista e degli intervistati, i motivi erano tanti e tali da giustificare un preciso impegno di finanziamento e “posa in opera” da parte dell’Anas e degli Enti locali coinvolti. Impegno, si capisce, a farla bene e presto. Con una attenzione particolare, basata su una intesa permanente e organica che fosse garanzia di celerità.
A sentire il Presidente del Consorzio per il Porto di Civitavecchia, l’infrastruttura – disse lui allora – “costituisce un mezzo indispensabile per il potenziamento, non solo dei traffici marittimi, ma per l’economia di un Comprensorio dove gravitano circa 7 milioni di abitanti.” Le aree di Terni e Rieti guardavano al collegamento veloce con il Tirreno come elemento essenziale di crescita industriale. Dette il pieno appoggio alla realizzazione del “passante centrale” l’Amministrazione provinciale di Roma che considerava positivo anche l’innesto all’Autostrada del Sole nei pressi di Orte e ipotizzava utili raccordi con la pianura pontina. Non da meno il Presidente della Camera di Commercio di Rieti: “Gli esiti che l’infrastruttura è destinata a provocare pure verso l’Abruzzo e l’Adriatico, trovano ampia giustificazione nella sollecita apertura dei cantieri.” Una forte spinta venne dal rappresentante dell’Aquila: “Il nostro sistema viario non può prescindere dalle realizzazioni poste in atto dalle regioni confinanti.”
Leggendo, al presente, il resoconto giornalistico del 1965, l’impressione che ne potrebbe ricavare chi la storia successiva non la conosce, è: visto il convincimento proclamato quel giorno, a Viterbo, da tanti personaggi d’alto lignaggio, chissà da quanto tempo ormai si va rapidamente in superstrada dal Tirreno in Sabina. Invece, no. Non ancora. Almeno, da Terni a Rieti e viceversa. C’è un tratto dove non si passa. Mentre a passare sono stati anni 53 e mesi 3. Eppure, sopra un vecchio documento ministeriale sta scritto: “Per quanto riguarda il collegamento Terni – Rieti, esso è affidato alla S.S. 79, arteria viaria ampiamente insufficiente a soddisfare la domanda di traffico.” Dunque, al Ministero dei Trasporti, in tempi remoti, erano già consapevoli dell’ “insufficienza” della tortuosa statale, soprattutto nel tratto da Terni al confine con la Sabina. Ancor più per i disagi (inquinamento atmosferico, rumore e pericoli) provocati per un lungo tratto alle popolazioni “frontaliere”. Eppure, quando, durante gli anni ’70 dell’altro secolo (per me, quasi in tempo di gioventù!), andammo facendo, insieme con Filippo Micheli, accanito tifoso della superstrada, riunioni operative con i Sindaci della Sabina, io, che da una città all’altra, di lì a poco, saremmo andati veloci, ci avrei scommesso per vincere sicuro. Al contrario, quelli come me si sono fatti vecchi e la proclamata strada – chiave per l’Italia centrale rimane in attesa di vedere, per intero, la luce. A quel tempo, parte del territorio della Sabina lo avevano collocato tra i beneficiari della Cassa per il Mezzogiorno (fondata, nel 1950, da Alcide De Gasperi). Con un andirivieni agevole, sia stradale, sia ferroviario, pure Terni avrebbe tratto utili vantaggi.
Vi risparmio alcuni dettagli bizzarri come quello che vide la costruzione del primo tratto S. Lorenzo – Flaminia, dell’itinerario che prevedeva il passaggio dalle parti di Stroncone; itinerario poi abbandonato per spostarsi sul tracciato attuale. Tra l’altro, all’origine, con un balletto di scelte e controscelte tra i due disegni tecnici originari denominati con i nomi dei rispettivi progettisti: “Aguzzi” e “Corsini – Santucci”. Poi, il ponte sulla Valnerina, si fa più su, si fa più giù, il Velino si sottopassa oppure si sovrapassa, le chiusure e riaperture della galleria per l’acqua inquinata e altri vari inconvenienti, l’incontro rivoluzionario della vigilia di Ferragosto 1995, all’ANAS di Roma. Per chi avesse voglia di leggere, è consigliabile un lungo articolo, a firma del Vice Sindaco pro tenpore di Terni, datato 30 ottobre 1998 e intitolato: Superstrada Terni – Rieti. Un’opera decisiva per lo sviluppo frenata dai ritardi della Regione. Infine, la vasta pubblicistica di annunci, passi avanti e fermi tutti, inaugurazioni a pezzi e bocconi. Che ci fa pure rima.
C’erano, ai tempi del Convegno di Viterbo, una caterva di motivi a sostegno del nuovo asse viario, non esclusa la possibilità, utile assai, di rendere complementari i sistemi economico – produttivi delle due province. E impostare insieme un programma operativo di valorizzazione turistica delle espressioni storico – naturalistiche (per esempio, la Cascata delle Marmore, il Lago di Piediluco, i Laghi reatini, le testimonianze francescane della Valle Santa, le acque minerali e termali, il Terminillo). In aggiunta alla possibilità di attivare utili sinergie e vantaggiosi circuiti con il resto dell’Umbria e Roma capitale. Si discusse altresì, in tempo ugualmente remoto, di un’altra improcrastinabile necessità: il potenziamento del trasporto su rotaia, tra Rieti, Terni e Pescara, ancora, al presente, basato sulla “littorina”, messa sopra binari ai tempi del fascio. Attivare “fermenti di crescita” con lo strumento logistico della “littorina” è come proporre l’ assicurazione sulla casa a un senzatetto.
Ci sarebbe da scrivere un trattato sulle vicende trascorse. Mi ripeto, ma lo scrivo lo stesso in conclusione: credo, in Italia, di opere viarie che, per finirle di costruire c’è voluto mezzo secolo, ce ne siano più d’una; però, di uguali (e brevi) che, per ultimarle, non sono bastate 217 stagioni, 648 mesi, 197.100 giorni (più i bisestili), a partire dal Convegno di Viterbo ad oggi, ne esiste una sola: la Terni – Rieti. Ragazzi, non è una impudicizia tecnico – politica?