C’è di tutto un po’ nelle carte bollenti dell’inchiesta sulla sanità in Umbria: dal sesso per un contratto in Regione, alle microspie in ospedale.
E dunque il Dg Duca accusato anche di corruzione e la candidata di Bocci ‘raccomandata’ poco furba che pur conoscendo le tracce non supera l’esame.
Dell’ordinanza che ha portato agli arresti domiciliari il segretario del Pd Gianpiero Bocci e l’assessore regionale Luca Barberini insieme ai direttori dell’Azienda ospedaliera Emilio Duca e Maurizio Valorosi, emerge in tutto il suo “splendore” quell’«efficiente e solido sistema clientelare» che andava «avanti da sempre» nella sanità umbra, dove i concorsi venivano «manipolati in favore dei ‘raccomandati’ della politica».
Ed ecco allora venir fuori le tracce dei concorsi «fornite in anticipo» ai candidati, i «punteggi attribuiti a tavolino» e quelli «gonfiati».
Ma ci sono anche la «segnalazione» del sindacalista Uil Fpl Umbria, la «raccomandata» dell’allora sottosegretario agli Interni Gianpiero Bocci che non supera la selezione neppure conoscendo i contenuti dell’esame. C’è la «raccomandata» dell’immancabile Walter Orlandi. E poi la pediatra ‘scomoda’ da allontanare.
E per non farsi mancare nulla, il contratto in Regione ottenuto soltanto dopo aver fatto sesso con il dg dell’ospedale.
«Duca, per compiere e aver compiuto un atto contrario ai propri doveri di ufficio» – si legge nelle carte – ha ricevuto da una donna «utilità consistite in diversi rapporti sessuali» e solo «a fronte di questi ultimi ha posto in essere un’attività di intermediazione e di influenza presso i componenti della commissione esaminatrice, esercitando un’ingerenza su alcuni membri e sul responsabile dell’organizzazione».
Tutto ciò – nell’ottica dei magistrati inquirenti – per «consentire la vittoria» alla futura dirigente. Per questa ragione dovrà difendersi anche dall’accusa di corruzione.
Agli atti c’è anche un video che documenta come lo stesso dg dell’ospedale «avesse con sé le tracce delle prove scritte del concorso e le dovesse portare in consiglio regionale per consegnarle all’assessore Barberini».
«Messaggio da Bocci… vuole gli orali, le domande orali», gli ricorda il direttore amministrativo Valorosi senza sapere di essere intercettato.
Secondo i pm gli indagati, ad un certo punto consapevoli di essere stati messi sotto controllo, «Bocci, Duca e Valorosi, utilizzando i canali e le loro conoscenze in ambienti istituzionali sono riusciti ad ottenere notizie riservate sulle indagini in corso e hanno così scoperto il sistema di captazione in essere», e dunque «hanno cercato di intervenire sfruttando relazioni con appartenenti alle forze dell’ordine anche ai massimi livelli» riuscendo così ad «ottenere informazioni rilevanti che hanno seriamente pregiudicato la continuazione delle indagini».
Il giudice si sofferma su Bocci, già sottosegretario agli Interni nei governi Letta, Renzi e Gentiloni: «La misura detentiva degli arresti domiciliari si rende necessaria in ragione della capacità dimostrata dall’indagato di interferire con condotte favoreggiatrici nell’attività di indagine. Bocci avrebbe comunicato a Valorosi l’esistenza delle attività di indagine precisando anche l’epoca in cui erano state attivate le microspie. È, dunque, particolarmente elevato che egli, sfruttando conoscenze acquisite nell’ambito istituzionale e in particolare tra ufficiali di polizia giudiziaria, possa porre in essere altre condotte analoghe a quelle già approfondite con conseguente pregiudizio per le indagini».
Tra i 35 indagati il nome più clamoroso è il 22mo dell’elenco, Catiuscia Marini, presidente della Regione, ma seppur non iscritto nel libro nero spunta anche il suo consigliere politico, inconsapevole piccione viaggiatore delle «tracce dei temi» che sarebbero dovute restare segrete.