Le ragioni ideologiche della rubrica, che presenta una rassegna di contributi scientifici firmati da studiosi afferenti alla Sezione Interdisciplinare di Disegno e Architettura del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università degli Studi di Perugia e concernenti tanto i progettisti quanto le opere più significative realizzate nella nostra regione durante il XX secolo, derivano da questa semplice considerazione.
Che è ampiamente condivisa a livello nazionale, ma che rimane tuttora pressoché inedita a livello locale.
Paolo Belardi
Di Maria Elena Lascaro – Tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento la cultura architettonica italiana affronta una fase di trasformazione che vede impegnati in prima linea gli architetti, sia per quanto riguarda la conservazione del patrimonio storico esistente, sia relativamente alla progettazione degli edifici pubblici del nuovo stato postunitario. I professionisti più talentuosi hanno così la possibilità di sviluppare le proprie carriere in una situazione politica ed economica favorevole, diventando veri e propri interpreti (soprattutto nei centri principali come Roma o Milano) dell’evoluzione in atto. In questo contesto operano figure che, seppur in contesti provinciali, occupano ruoli di primo piano nella cultura architettonica: è il caso di Pietro Angelini che costruisce a Perugia la propria fortuna professionale e personale, legando per quasi vent’anni la sua carriera di professore e architetto alle vicende architettoniche della città.
Pietro Angelini nasce nel 1892 a Ripi, centro del Frusinate, e, giovanissimo, si trasferisce a Roma per studiare presso l’Istituto Superiore di Belle Arti, dove si diploma nel 1910. Tra il 1920 e il 1923 frequenta il “triennio di applicazione” della nuova Scuola Superiore di Architettura dove è allievo di Manfredo Manfredi, sotto la cui guida si diploma e vince il “Premio Valadier” con il disegno “Palazzo per un Parlamento”. In questo periodo, contestualmente alla partecipazione ad alcuni concorsi e alla I Biennale Romana (1921), fa le prime esperienze nel campo dell’insegnamento, inizialmente presso l’Istituto Tecnico Superiore di Milano, poi all’Accademia di Belle Arti di Perugia (1922) in sostituzione di Ugo Tarchi nell’insegnamento dell’Architettura e diviene professore di ruolo già l’anno successivo.
La carriera accademica e professionale di Angelini a Perugia cresce e si consolida velocemente negli anni seguenti (prima diventa accademico di merito tra i professori residenti e poi direttore del nuovo Istituto Regio d’arte “Bernardino di Betto” dal 1926), affiancata da incarichi istituzionali e corporativi, come, ad esempio, quello di presidente della segreteria provinciale dell’Umbria del Sindacato Nazionale Architetti nel biennio 1933-1934. Nel 1938, già professore e direttore dell’Accademia di Belle Arti di Perugia e affermato architetto, lascia la città per assumere l’incarico di direttore del Regio Istituto d’Arte di Napoli, dove si dedica esclusivamente all’insegnamento.
Muore nel 1985. La vita professionale di Angelini a Perugia coincide con gli anni dell’ascesa del regime fascista e in questo contesto di tumultuosa trasformazione politica e culturale ottiene importanti incarichi tra cui spicca il ripristino della facciata di San Francesco al Prato. In Umbria il tema del restauro architettonico assume, all’interno del più ampio dibattito nazionale animato da Gustavo Giovannoni, il significato ulteriore di recupero dell’identità storica di un’intera regione tramite il ripristino dei suoi principali monumenti, in particolare quelli medievali. E’ da queste premesse che Angelini muove quando si trova, nel 1926, a intervenire su uno dei principali monumenti del francescanesimo umbro, caratterizzato da uno stato di avanzato degrado e da innumerevoli problematiche sia tecniche (dissesti statici e geologici) sia linguistiche e formali, legate al progetto di demolizione della settecentesca cappella del Gonfalone addossata alla facciata, ma soprattutto alla successiva integrazione del disegno della facciata stessa di cui sopravviveva soltanto una piccola parte originale. L’approccio al restauro di Angelini si pone inizialmente come filologico e scientifico, infatti prima di iniziare i lavori realizza un dettagliato rilievo dal vero della facciata ancora esistente riconoscendo la necessità di rispettare il valore storico delle parti originali.
Tuttavia in corso d’opera prevale la tendenza alla ricostruzione “in stile”, già inaugurata dall’opera del suo illustre predecessore nella cattedra di Architettura all’Accademia, Ugo Tarchi, secondo il quale il monumento deve essere ripristinato in forma compiuta anche tramite il completamento e la ricostruzione sulla scorta dell’analisi dello stile e del rilievo ideativo. Demolita la cappella settecentesca, Angelini ritiene necessario smantellare anche i torrioni laterali per problemi statici e si risolve infine per lo smontaggio e la ricostruzione dell’intera facciata reimpiegando parte degli elementi originali. La necessità di creare un monumento in cui la città possa identificarsi diventa però prevalente rispetto alla conservazione materiale dell’edificio, tanto che i lavori si concludono con la sostituzione completa del rivestimento della facciata: secondo Angelini, la ricostruzione deve risultare “più che autentica”.
Il restauro di San Francesco al Prato apre la strada ad Angelini per l’affidamento di altri incarichi nel centro storico di Perugia: il ripristino del “postergale” della Sala dei Notari a Palazzo dei Priori (1927) di cui propone la ricostruzione integrale, il progetto per la nuova fontana in via Maestà delle Volte (1927), il ripristino della Loggia di Braccio Fortebraccio in Piazza IV Novembre (1928) con la riapertura delle arcate tamponate, l’inserimento di catene per il consolidamento e la progettazione del coronamento e del nuovo basamento in travertino. Nel 1931-1932 gli viene affidato il recupero di un tratto dell’antica via Bagliona, inglobata nella Rocca Paolina. Angelini procede alla sola rimozione dei detriti accumulatisi a seguito di successive demolizioni, mentre il progetto di ricostruzione degli spazi medievali, affidatogli dall’amministrazione comunale, viene presto accantonato: l’idea progettuale sarà concretizzata solo negli anni ottanta, contestualmente alla realizzazione del percorso meccanizzato nella rocca sangallesca.
Nei suoi anni perugini Angelini partecipa a diversi concorsi: ricordiamo quelli per i piani regolatori di Arezzo (1929) e Perugia (1932), per la sistemazione della ex piazza d’Armi (1928) e per il nuovo palazzo di giustizia (1935), entrambi a Perugia, nonché per un cimitero monumentale e diversi monumenti ai caduti di guerra di cui realizza soltanto quello di Ripi, sua città natale. Le sue opere, che passano facilmente dal linguaggio architettonico classico a quello neogotico fino a un frenato razionalismo, rimandano a un atteggiamento eclettico tipico dell’epoca che in Angelini è sintomo di una identità culturale e di una capacità ideativa prevalentemente accademiche.