– di AMAR. Nel precedente articolo riguardante alcuni dei più importanti fatti della storia, accaduti nel mese di dicembre, uno ne è rimasto da raccontare. Il Dicembre 1294, quando Papa Celestino V, secondo l’interpretazione dantesca,“fece per viltade il gran rifiuto”. Era morto Nicolò IV e la sede vacante durava ormai da più di due anni. Gli “Eminentissimi ac Reverendissimi” Cardinali, riuniti, prima a Roma, poi a Perugia – il Sacro Collegio era formato da 12 membri, ridottisi in itinere, a 11 per una morte di peste – non riuscivano a trovare l’”intesa vincente”.
S’era fatto tardi e un Papa andava eletto. Irruppe nel Conclave di Perugia, il Re Carlo II d’Angiò che era in disputa con Giacomo II d’Aragona. Avevano firmato un accordo, ma occorreva loro l’avallo pontificio. Fors’anche per questa “sollecitazione”, gli Eminentissimi ecc. ecc. decisero di scegliere subito una soluzione alquanto singolare, però comoda a molti: vestirono con l’abito bianco Pietro da Morrone, monaco eremita che, al momento, dimorava in cima ad un monte, dentro una caverna, in totale isolamento dalle cose del mondo. Era l’ultimo nato di 12 figli di famiglia contadina. Uno dei messi pontifici, mandati ad avvertirlo, raccontò che gli comparve “un uomo vecchio, attonito ed esitante per così grande novità, con indosso una rozza tonaca”. Lo portarono all’Aquila e lo incoronarono con il nome di Celestino V, il 29 agosto1294.
Nel Dicembre dello stesso anno (ecco dicembre che torna), dopo appena 106 giorni dalla proclamazione, convocò di nuovo i Cardinali e disse: “Io, Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo … abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato”. Gli successe Bonifacio VIII (Benedetto Caetani), il quale, ritenendolo alquanto ingombrante, lo fece rinchiudere nella Rocca di Fumone, in Ciociaria, dove morì in odore di santità.
Ce n’è un altro di articolo che necessita di una breve appendice. Riguarda la rivoluzione verde che sta modificando alcuni settori e strumenti del vivere di oggi, come quello della circolazione stradale. Se si prende in esame il dato che riguarda la quantità dei “motori rumorosi”, presenti sulle strade, ci si accorge che noi italiani siamo tra i primi in Europa. E questo non va bene. Per le conseguenze che ha sulla salute l’inquinamento atmosferico. Tra gli effetti negativi del traffico, così com’è articolato, ci sono le polveri sottili a far paura: ogni anno, in Europa uccidono mezzo milione di persone. A Terni, di PM 10 ne abbiamo in abbondanza. Nell’ indagine di qualche anno fa, si legge di una città altamente inquinata da renderla “un caso di studio ideale” e quindi nella condizione di aprire una dura e popolare “vertenza ambientale”. Invece, c’è silenzio d’azione pure di fronte a questo reale pericolo. Pur essendo note le cause, gli effetti e le responsabilità.
Il risanamento ambientale, dovuto alla diffusione del motore a batteria, non sarà sufficiente, da solo, a “bonificare” i luoghi di vita. Allora, occorre estendere l’interesse al problema della riqualificazione edilizia, per la quale sono previsti sostanziosi incentivi. Dovranno riguardare, per creare effetti moltiplicatori, una progettualità relativa a grandi comparti urbani. Massimizzare i risultati anche in termini di decoro estetico e risparmio energetico, al fine di modificare situazioni di inefficienza non più sostenibili. Alle ingenti risorse finanziarie impiegate, dovremo chiedere un forte ritorno in termini di lavoro. Quell’enorme quantità di miliardi destinati ai micro finanziamenti (per esempio, l’acquisto di rubinetti superefficienti per risparmiare acqua, fornita da acquedotti colabrodo) non sembra produttrice di nuova occupazione di massa. C’è da neutralizzare molta parte delle negatività provocate dall’emergenza Covid che ha distrutto un alto numero di posti di lavoro. Altrimenti il bilancio dell’operazione verde, nel suo complesso, sarà fallimentare.
Ora un passo di lato. Confesso che non mi dispiace affatto scrivere per ricordare la beffa al fascio operata da tre coraggiosi, durante gli anni tormentati della dittatura. L’episodio ha dignità d’essere raccontato per lo scorno subìto dalla prepotenza nera. Uno smacco tale da mettere alla berlina il rigorismo avanguardista. Accadde al tempo del largo uso della punizione facile: il confino di polizia, quando bastava una delazione del capo fabbricato per farti finire sopra un’isola sperduta.
Sull’isola di Lipari, appartenente all’Arcipelago delle Eolie, stavano circa 500 sovversivi e disfattisti, secondo la “qualifica” affibbiata dal regime. Tra loro, anche numerosi personaggi di rilievo politico e di sicuro stampo antifascista. Le regole erano codificate nel famigerato Testo Unico di P.S. Stabiliva, tra l’altro: Possono essere assegnati al confino di polizia gli ammoniti (una sorta di generico “cartellino giallo”), coloro che abbiano commesso o manifestato il proposito di commettere atti (stava qui l’arbitrarietà dei provvedimenti) diretti a sovvertire gli ordinamenti nazionali. I confinati erano soggetti a libertà ideologica fortemente limitata da statuizioni diverse dalla reclusione, però da rispettare, nessuna trasgressione ammessa. La sorveglianza di quell’Alcazar inespugnabile era di tipo militare, addirittura con imbarcazioni che pattugliavano il mare in assetto di guerra.
Il “cordone sanitario” lo violarono, durante la notte tra il 27 e il 28 luglio 1929, tre “politici”: Emilio Lussu, Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti, quest’ultimo nipote dell’ex Presidente del Consiglio prefascista Francesco Saverio Nitti. Riuscirono a scendere in acqua in un luogo nascosto dove furono prelevati da un motoscafo d’alto mare, guidato dal “capitano coraggioso”, Italo Oxilia. Il rischio per tutti era alto, però, con molto ardire e un po’ di fortuna, riuscirono a prendere il largo e sbarcare in Tunisia. Una settimana dopo furono accolti festosamente a Parigi. La notizia della clamorosa evasione fece assai rumore, tra gli sberleffi delle “potenze demo plutocratiche”. L’uomo nero dal mento prognato minacciò di fare sfracelli a carico dei sorveglianti presi per il naso. Il regime, disse lui, era stato defraudato del suo carattere di serietà.
Chiudo con una notizia. C’è un ingorgo alla Casa Bianca. Il vecchio “inquilino” (Donald Trump, non Donald Duke, come qualcuno dice: quello è Paperino), sfrattato dal voto del popolo americano, non se ne vuole andare. Il nuovo (Joe Biden, democraticamente eletto) preme per prendere possesso dell’alloggio. Prima però, come sempre avviene in ogni cambio di abitazione, c’è da dare una rinfrescatina alle pareti, pulire pavimenti e suppellettili, sistemare gli arredi secondo i gusti del subentrante. Nella fattispecie, occorre anche tempo per consentire il laborioso cambio dell’apparato dei due Presidenti. Insomma, se il “vecchio” non si decide a liberare l’alloggio, il “nuovo” rischia di rimanere fuori della porta come avviene, in Italia, nei condomini delle case popolari, con mogli e figli vocianti al seguito. Un bel pasticcio. E il 20 gennaio è alle porte.