di Francesco Castellini – “Con il Governo Conte-bis aumenteranno gli sbarchi dei migranti”.
Matteo Salvini lo aveva predetto e la realtà sta perfino superando ogni più tragica fantasia e nefasta previsione.
Con il Viminale che giorno per giorno raccoglie e analizza i dati sui barconi, barchini, navi ong, insomma tiene il conto degli extracomunitari clandestini che arrivano sulle nostre coste, e che per la prima volta dal 2017 fa segnare una crescita netta e spaventosa.
Era dal 2016 che si registrava un calo, cominciato con i primi provvedimenti del Ministro Minniti e proseguito con maggior forza dall’arrivo del leader della Lega al Viminale e la politica dei “porti chiusi”.
Poi l’alleanza tra Pd e M5S ha già portato a questa svolta storica e a questa netta inversione di tendenza.
Un fatto che non viene comunicato dai vari mass media nella giusta misura. Anche perché il Governo giallo-rosso se ne guarda bene di dichiarare apertamente che i porti sono aperti. In ballo, manco a dirlo, ci sono voti e consensi. E dunque ci si affida a stratagemmi linguistici come “redistribuzione” o “strategia europea”, mentre nel frattempo si va verso il “collasso”.
L’aumento stimato in appena due mesi di Conte-Bis è del +300% di arrivi clandestini. Una situazione che sta oggettivamente sfuggendo di mano e che fa gridare a Nello Musumeci, governare della Sicilia: «Aiuto, la mia regione è di nuovo un campo profughi, con l’Europa che si gira dall’altra parte».
Ma l’Unione Europea si sa, invece di svolgere il proprio compito di coordinatrice e giudice sopra le parti, gioca a ciurlare nel manico, osservando passiva e quasi compiaciuta le tante “scaramucce” che si sono venute a creare fra i Paesi membri e all’interno degli stessi.
Il tutto pur di non prendersi le proprie responsabilità, pur di non scontentare soprattutto i governi “generosi” con i porti degli altri.
E così in quest’Europa colpevole, complice e volutamente distratta, che continua ad essere vista da molti come un Eldorado su cui voler approdare indisturbati, c’è chi rimane più esposto di altri al fenomeno immigratorio, e chi se ne sta furbescamente in disparte, cercando semmai di speculare economicamente e politicamente sul business dai profitti stratosferici.
L’Italia è ovviamente, per ragioni geografiche, il posto più vulnerabile di tutti. Vicino al nord Africa, da anni assiste all’invasione delle proprie sponde, che vedono ogni giorno approdare piccole imbarcazioni di clandestini fuori da ogni controllo.
Con tantissime persone che “premono” ai confini e che rappresentano la punta di un iceberg che conta in tutto oltre 70 milioni di individui costretti a fuggire dalle proprie case a causa di guerre, persecuzioni, povertà e violenze (dato rilevato dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati – Unhcr).
E così in questa diatriba fra “buoni” e “cattivi”, invece che affrontare la tematica con razionalità e garbo, si sente affermare di tutto.
Ci sono quelli che sono arrivati a dire “accogliamoli tutti”, “io non voglio più vivere in un paese dove i porti sono chiusi”, come se davvero si potesse ospitare all’infinito e come se da qualche altra parte nel mondo esistesse una sola nazione che tiene i porti aperti (a parte la nostra).
Per non parlare poi del fatto che in Italia c’è chi si fa vanto del fatto che qui i clandestini non si aspettano, ma li si va a cercare e prendere direttamente a casa loro. Il tutto violando perfino i limiti territoriali imposti dalle leggi internazionali che difendono la sovranità e la sicurezza, e soprattutto non tenendo conto della realtà oggettiva che dà ad ogno Paese una capacità ricettiva organica, fisiologica, che non può essere alterata e scompensata.
L’esempio che portano i sociologi è la metafora della nave.
Ogni natante in pratica è progettato per accogliere e far viaggiare un tot numero di merci e passeggeri, che per necessità può essere ovviamente aumentato di qualche unità, se per esempio all’occorrenza occorre ripescare qualche naufrago in mare, ma che di certo non può superare i limiti imposti, altrimenti facendo salire “tutti”, si assisterebbe all’inesorabile inabissamento.
“La questione è proprio questa – ribadiscono gli osservatori – ogni Paese dev’essere visto come un organismo vivente, concepito con un suo equilibrio interno ben preciso, che in altri termini significa una sanità strutturata per un certo numero di persone, un sistema trasporti organizzato per far fronte a determinate esigenze, un apparato statale studiato per rispondere in maniera funzionale ai bisogni dei cittadini, e via dicendo”.
Peraltro stiamo parlando di servizi a pagamento. Come lo è per esempio la cosiddetta assistenza sanitaria garantita a tutti, che ovviamente (come il resto) è sostenuta dai cittadini che lavorano e pagano le tasse.
Questo senza tener conto del tema delicatissimo della sicurezza.
Ecco allora che il problema immigrazione ha bisogno di essere ricollocato nel suo opportuno alveo, se vuol essere affrontato e compreso nella giusta misura.
Dunque è evidente che per meglio agire servirebbe soprattutto ragionare pacatamente, far leva su un gioco di squadra e sulla collaborazione di tutte le forze in campo. Altrimenti, se si continua così, a insulti e “pesci in faccia”, invece che tentare di analizzare serenamente il fenomeno per cercare di delineare qualche progetto risolutivo, non si fa altro che aggravare la situazione, dando spazio a reazioni contrastanti, istintive, e alla lunga profondamente sbagliate.
Un esempio da seguire arriva dalla Danimarca. Dove non a caso nelle recenti elezioni hanno vinto i socialdemocratici di Mette Frederiksen, strappando voti all’estrema destra, Ddp, crollata dal 21 all’8,7%.
A fare da ago della bilancia manco a dirlo è stata anche qui la questione immigrazione. La quarantunenne Mette Frederiksen, ha raccolto la maggioranza dei consensi dopo aver annunciato di volere inasprire la linea dura sviluppata in ambito migratorio dai precedenti esecutivi conservatori.
In particolare, tra le misure restrittive delineate c’è stato lo “smantellamento” di tutti i centri-profughi presenti sul territorio nazionale, definiti senza mezzi termini “focolai di illegalità”.
La Frederiksen ha poi assicurato ai cronisti di Kristeligt Dagblad che il trasferimento coatto in Nordafrica degli ospiti dei centri-profughi danesi, oltre ad essere una politica “giusta e umana”, deve essere attuato al fine di dare esecuzione alle “convenzioni di rimpatrio” stipulate in passato da Copenaghen con i Paesi del Maghreb e mai attuate finora dai governi della nazione scandinava.
L’annuncio della leader socialdemocratica ha immediatamente provocato sia critiche sia apprezzamenti tra le file della sinistra europea. Ad esempio, Morten Østergaard, segretario del Partito Social-Liberale danese nonché alleato di coalizione della Frederiksen, e Cristina Narbona, presidente dei socialisti spagnoli, hanno reagito alle parole della donna quarantunenne bollandole come rappresentative di una “svolta xenofoba” del maggiore partito “progressista” del Paese nordico.
Al contrario, un plauso nei riguardi della tolleranza zero in ambito migratorio promessa dalla leader danese è stato espresso da Sigmar Gabriel, a capo dei socialdemocratici tedeschi dal 2009 al 2017, che, dalle colonne del quotidiano di economia di Düsseldorf Handelsblatt, ha elogiato la Frederiksen quale simbolo di una sinistra “attenta alla realtà”, che “comprende i problemi concreti della gente” e che finalmente “rigetta i paraocchi del perbenismo ipocrita e falso”.
E un altro autorevole osservatore che la pensa così è il giornalista di Repubblica Federico Rampini, che in più di un’occasione ha avuto il coraggio di affermare: «Dire “aiutiamoli a casa loro” non è di destra».