Di Adriano Marinensi – La penultima gara l’aveva vinta nel 1959 ; l’ultima, quella della vita, l’ha persa nel 1960. Mario Ferretti, principe dei radiocronisti, lungo i saliscendi micidiali di una frazione del Giro d’Italia, s’era inventato questa frase, diventata simbolica: “C’è un uomo solo al comando, veste la maglia bianco celeste, il suo nome è Fausto Coppi”.
Poi l’ha ripetuta un sacco di volte. Si Fausto Coppi, l’aiglon come lo chiamavano i francesi quando dominava lungo le loro strade. Uno di quei campioni che andrebbe ricordato ad ogni anniversario. Lo faccio quindi – a 56 anni esatti dalla morte – per la conoscenza dei giovani e le nostalgie degli anziani.
L’aiglon è volato via agli albori del 1960, quando s’erano appena spenti i botti di Capodanno. Lo uccise la malaria (terziaria maligna) che i medici non capirono. Non servì a nulla la diagnosi formulata in Francia per Raphael Geminiani, ammalatosi, insieme a lui, in Africa, durante una battuta di caccia. Al francese dettero il chinino e si salvò; a Coppi gli antibiotici inutilmente. E lui – dicono le cronache dell’epoca – alle 8,45 del 2 gennaio, è morto. Il piemontese di ferro era nato a Castellania, piccolo borgo di collina, in provincia di Alessandria, poco distante da Novi Ligure, il 15 settembre 1919, l’anno della tenera canzone “La signora di trent’anni fa” (…ricordo gli occhi, gli occhi solamente …), cantata da Achille Togliani mentre Coppi vinceva. Le cadute, le fratture, le crisi, le disgrazie e i celebrati successi.
Il mondo del ciclismo aveva perso il campionissimo, ch’era riuscito a vincere 151 corse su strada, 58 per distacco, 83 su pista. Cinque Giri d’Italia (il primo, nel 1939, quando non aveva ancora 20 anni), due Tour de France, il primo a trionfare, nello stesso anno, sia al Giro, sia al Tour. Poi le “classiche” : 4 Giri di Lombardia, 3 Milano – Sanremo, i campionati del mondo strada e pista (inseguimento), il record dell’ora. Insieme a Gino Bartali – scrissero i cronisti sportivi – ha fatto sognare l’Italia povera e contadina del primo dopoguerra, quando la “due ruote silente” era la padrona d’ogni contrada. Così il famoso Gianni Brera : “La figura di Coppi dava l’impressione di una invenzione della natura, per completare l’estro meccanico della bicicletta”.
L’impresa simbolo del suo valore atletico rimane quella 17^ tappa del Giro d’Italia (10 giugno 1949), da Cuneo a Pinerolo, quando valicò, in testa da solo, cinque colli (Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Sestriere) e, malgrado 5 forature, giunse al traguardo con quasi 12 minuti di vantaggio sul secondo. Che non era uno qualunque : si chiamava Bartali (il terzo, Alfredo Martini a 20’ e 4’’). Fu leggendaria pure l’impresa al Giro di Francia dello stesso anno. Alla quinta tappa aveva accumulato un ritardo di 36’ e 55’’ dal primo in classifica. A Parigi, arrivò in maglia gialla con un vantaggio, sul solito Bartali, di 10’ e 55’’. Un “miracolo” per un ciclista che, in carriera, dovette vedersela con competitori del calibro di Fiorenzo Magni, Ferdi Kubler, Ugo Koblet, Rik Van Stembergen, Jean Robic, Luison Bobet, Stan Okers.
E’ il 1946, il 19 marzo, giorno storico della Milano – Sanremo. Coppi indossa, per la prima volta, la mitica maglia della Bianchi. Si fa 150 km di fuga solitaria e vince. Il radiocronista RAI Nicolò Carosio annuncia così la sua vittoria : “Primo Fausto Coppi. In attesa del secondo, trasmettiamo musica da ballo”. Aveva ragione, perché il secondo Lucien Teissere giunse un quarto d’ora dopo. In molti bar dello sport, ancora oggi, campeggia una foto scattata lungo i tornanti del Galibier : Coppi avanti e Bartali alla sua ruota, in mezzo una borraccia passata dall’uno all’altro. L’ha passata Fausto a Gino o viceversa ? L’interrogativo, che appassionò gli sportivi, è rimasto un mistero mai svelato. Nel Giro d’Italia 1951, inserirono la più lunga tappa a cronometro mai corsa prima: 81 km da Perugia a Terni. L’Umbria fece festa a Coppi che si lasciò alle spalle Bobet, Koblet e Bartali. Per Fausto, il 1951 però fu anche l’anno del lutto. Durante il Giro del Piemonte, a due km dal traguardo, il fratello Serse, che correva nella stessa squadra, perse la vita, scivolando sulle rotaie del tram.
L’Italia, ancora un po’ bigotta degli anni ’50, lo mise in croce per “la scandalosa relazione extraconiugale con la dama bianca”. Coppi, sposato con Bruna (Crampolini) e padre di Marina, si invaghì di Giulia (Occhini), a sua volta maritata con Enrico (Locatelli). L’aveva conosciuta sul traguardo di una Tre Valli Varesine e lei si mise a seguirlo in giro per lo stivale. Nel 1954, decisero di andare a vivere insieme a Villa Carla di Novi Ligure. Un pandemonio! Per Giulia, la sciupa famiglie, persino l’arresto e per Fausto processo e condanna a due mesi di carcere con l’accusa di abbandono del tetto coniugale. Per i suoi “devoti”, Coppi, il nume avrebbe dovuto essere dello stesso sesso degli angeli. Invece l’adultera l’aveva profanato. E’ morta pure lei di gennaio il giorno dell’Epifania del 1993.
Furono costretti a legalizzare la loro unione in Messico, dove nacque Angelo Fausto, detto Faustino. Ebbero contro i consueti moralisti che fecero subito il paragone con “Gino (Bartali) il pio”, uomo integerrimo, tutto Chiesa e focolare. Certo, il comportamento di Coppi non fu esemplare, ma non meritevole della caccia alle streghe messa in atto a suo danno. Fosse accaduto oggi, nell’epoca delle famiglia allargate, un po’ di gossip e sarebbe finita lì. Ma, quelli erano tempi ancora “immaturi”, quando l’outsider di turno, inopinatamente vincitore, diceva al microfono : “Sono contento di essere arrivato uno”.
Il giorno del funerale si parlò di circa 50.000 persone presenti a Castellania. Scrisse don Domenico Sparpaglione, Sacerdote suo compaesano : “Lunedì 4 gennaio, si svolsero le esequie, con un concorso di gente quale mai s’era visto sui nostri colli, malgrado la giornata fosse fredda e nebbiosa”. In tanti i campioni del passato e in attività. Don Domenico ne cita alcuni : Bartali, innanzitutto, Binda, Girardengo, Bobet, Van Loy, Anquetil, Baldini, Magni “che non smetteva mai di piangere”. E ancora : “Ci fu una Messa semplice, Baffi e De Filippis la servirono con molta devozione”. Poi la notazione di poco riguardo : “Anche la Dama bianca si era intrufolata in Chiesa, mentre la moglie Bruna era rimasta fuori”. Infine la conclusione che, per un Sacerdote, poteva considerarsi a rischio : “Neanche alla morte del Papa si è verificato quello che si vide per la morte di Coppi”. E, si, l’addio tra trionfo e strazio, lo aveva accompagnato in morte come in vita lungo le strade delle sua vittorie. L’aiglon, l’aquilotto, aveva chiuso le ali in mezzo alla folla delle grandi occasioni, come s’usa dire in gergo sportivo.