di Francesco Castellini – Alberto Stramaccioni è uno studioso attento, capace come pochi nell'individuare le smagliature della storia, i vuoti da colmare.
Un ricercatore capace di guardare con immutata curiosità al lungo cammino tracciato dall'uomo, come se vi andasse a esplorare un itinerario preciso, come se dietro ci vedesse celato un disegno superiore, che per i credenti è divino, e per chi non ha il dono della fede è comunque un'impronta capace di riverberare gli strepitosi risvolti di un popolo, foss'anche solo caratteriali, utili comunque per guidare il presente e per anticipare il futuro.
Da un po' Stramaccioni ha puntato la lente su una lacuna patologica, e lo ha fatto mettendo in evidenza alcune brutte vicende che ci riguardano, tutte intessute di violenze efferate, che sono state perpetrate in Italia fin dall’Unità e poi anche all'estero.
Il libro “Crimini di guerra – Storia e memoria del caso italiano”, edito da Laterza, è un'indagine che parte dalla repressione del brigantaggio per poi addentrarsi in quegli episodi terribili e malvagi commessi dai soldati italiani già a partire dalle spedizioni coloniali in Africa Orientale e in Libia. Il libro rileva come durante il ventennio fascista l’Italia si sia resa responsabile della violazione dei più elementari diritti umani nelle guerre in Etiopia, Somalia, Spagna. E dopo, nel corso della seconda guerra mondiale, tra il 1940 e il 1943, insieme alla Germania, fu cooprotagonista di eccidi di civili in Jugoslavia, Grecia, Albania, ma anche in Russia e in Francia. Preludio di stragi efferate contro civili a opera dei nazisti, sostenute dai fascisti della Repubblica di Salò.
Ecco dunque che tutti questi capitoli macchiati di sangue innocente, di assassini di persone indifese, questo elenco di innumerevoli atti infami hanno il potere di far riemergere dal recente passato vicende spregevoli, legate insieme dal filo dell'aberrazione, dell'amoralità. Una cosa così vergognosa che si farà poi di tutto per non parlarne, e perfino per negarla, come non ci appartenesse, o non fosse mai avvenuta.
Un assordante silenzio. E così per decenni, nella fase della ricostruzione e del dopoguerra, nonostante l’Italia si sia venuta a trovare nella particolare situazione di essere molte volte etichettata come un paese colpevole di eccidi, tutti si sono guardati bene dall'assumersi le proprio responsabilità. Nessuno che abbia criticato l'operato dei soldati in Africa Orientale e soprattutto nei Balcani, così come alcuno se l'è mai sentita di perseguire i nazifascisti colpevoli delle stragi compiute sul territorio italiano.
Le colpe impunite. Eppure appare incontestabile che furono i comandanti dell'esercito italiano ad elaborare i piani per la gestione dell'Ordine Pubblico. Loro, con i loro reparti, decisero di mettere in atto la repressione contro i partigiani e soprattutto contro la popolazione civile, non risparmiando nemmeno gli intellettuali (docenti e studenti dall'università alle scuole inferiori) solo perché considerati la colonna portante del movimento partigiano. Ma tant'è che per tutto il dopoguerra si è assistito solo ad insabbiamenti e a depistaggi che hanno avuto l'intento di rimuovere dalla memoria collettiva infiniti orrori, perpetuando solo “il mito del bravo italiano, sempre vittima e mai agente di violenza”.
Per la verità questa strategia politica di occultamento ha subito un parziale ripensamento dopo la fine della Guerra Fredda. Tanto che dal 2005 a oggi sono state emesse numerose sentenze che hanno contribuito a rinnovare il rapporto tra storia e memoria su una delle questioni più tragiche e controverse della storia nazionale.
E c'è da aggiungere che le orribili colpe non sono sfuggite alle Nazioni Unite che, a fronte degli incontestabili fatti, inserì nelle liste di ricercati per crimini di guerra e contro l'umanità, molti generali dell'esercito italiano e anche molti dei loro sottoposti.
Questo libro allora, evidenziando come il rapporto tra l'Italia e i crimini di guerra sia una questione ancora oscura, per certi versi complessa, trattandosi di un paese prima alleato dei vinti e poi dei vincitori, ha il merito di riportare alla luce la storia di un lungo occultamento, che prende il via dal 1945, attuato dalla magistratura militare e dal potere politico, fatto sicuramente con l'intento di sostenere solo una certa idea di pacificazione nazionale.
Stramaccioni ha sentito la necessità di una riflessione critica sul nostro passato, sbaragliando a suon di episodi e fatti incontestabili, le tante falsità su cui si basa la cosiddetta memoria condivisa. Una frattura per tanti versi risanata. Una verità ristabilita. Perché tacere sull’autoritarismo, sul militarismo, sull’oppressione costante che lo Stato italiano ha dispiegato contro le classi subalterne da 150 anni a oggi, significa rendersi corresponsabili.
E poi è anche una questione di emancipazione, di benefica consapevolezza. Perché il non voler fare i conti con le proprie colpe, lo sanno bene gli psicologi, non solo non serve a niente, ma è letteralmente dannoso e devastante.
Per questo motivo tale ricerca va considerata utile e perfino terapeutica, proprio perché si è data il compito di mettere in risalto un aspetto negato, per nulla nobile, del popolo italico, raccontando di orribili oltraggi perpetrati da piccoli spregevoli individui, che quando si ritrovano ad agire in gruppo, armati, all'ombra di una bandiera, diventano arroganti e spietati, paghi nell'infierire, nell'infliggere le punizioni più bestiali, e dunque forti nel dare sfogo ai peggiori istinti primordiali. Criminali sfuggiti alle maglie della giustizia, che meritano comunque il massimo della pena, vale a dire la condanna civile a vita.