Mario Centini – L’Italia, come noto, è un paese in perenne campagna elettorale (o referendaria).
Le elezioni politiche si sono svolte a febbraio di quest’anno e già si parla, temendole o auspicandole a seconda del punto di vista, di nuove elezioni, anche e soprattutto a causa della sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittima parte della legge elettorale del 2005.
In ogni caso si voterà nella primavera del 2014 per il rinnovo del Parlamento europeo.
Elezione significa “comizi elettorali”, secondo la terminologia tecnica, e affissione di manifesti sugli spazi assegnati dal Comune. In tempi di internet il confronto si è spostato sul computer ma il classico strumento di carta continua ad essere utilizzato, nonostante i costi.
Per garantire parità di trattamento a tutte le forze politiche (partiti o movimenti) ciascuna di esse ha un proprio spazio.
E’ successo, però, in tutte le campagne elettorali, sia politiche (nazionali ed europee) che amministrative (regionali, provinciali e comunali) che ignoti “attacchini” abbiano affisso manifesti al di fuori di questi spazi, violando la regola della competizione leale (il fair play anglosassone).
Questi comportamenti scorretti sono sanzionati dalla legge elettorale del 1956 (art 8 L.212/56): inizialmente erano reati, oggi sono illeciti amministrativi: i vigili urbani, gli agenti della Polizia di Stato e i Carabinieri sono stati impegnati nella rilevazione di centinaia di infrazioni.
Ma questo solo in teoria perché è (quasi) impossibile cogliere sul fatto gli autori dell’affissione abusiva. Restano, quindi, impuniti, a meno che non si consideri responsabile in solido con l’autore, il committente, figura prevista dalla legge, il cui nome è stampato sui manifesti stessi.
Su questo punto, tuttavia, la legge tace (anche se non esclude espressamente la solidarietà) e la giurisprudenza sembra di avviso contrario.
E’, per l’appunto, quello che ha statuito un Giudice di Pace di Perugia (sent. 1086/13), cui si era rivolto il committente di un manifesto affisso abusivamente a Perugia nel corso della campagna elettorale per elezioni politiche del 2008. Il Giudice ha annullato la sanzione irrogata con ordinanza dalla Prefettura di Perugia sul presupposto che il committente non può rispondere dell’affissione se non si prova un rapporto diretto con l’autore materiale.
A questo punto quasi sono le alternative? O si rinunzia a sanzionare, il che è palese segno di inciviltà, o si ipotizza una responsabilità del candidato o del partito.
Ma anche per il candidato sorge lo stesso problema giuridico sollevato per il committente: l’onere, che incombe sui verbalizzanti, di provare “un rapporto diretto di incarico dato da lui agli attacchini per l’affissione vietata”.
Per quanto concerne il partito o movimento politico, non è certo facile identificare il livello territoriale cui attribuire la responsabilità del manifesto abusivo, se nazionale, regionale o locale.
Questa delicata materia, insomma, non è compiutamente regolata dal legislatore con il risultato di un potenziale grave pregiudizio ai danni non solo degli elettori, che vedono menomato il loro diritto ad una competizione corretta, ma, in fin dei conti, degli stessi eletti.