Il “repubblichino” Guerrino Quattrini , da qualche tempo, è prigioniero della squadra di Sandro presso la Serra di Mosciano, in comune di Nocera Umbra. Dopo l’ inizio del grande rastrellamento del 17 aprile 1944 viene tenuto in custodia nella grotta “degli Angeli “ , situata nelle balze di Sorifa, dove si nascondono i due patrioti Paolo e Lello.
Si tratta di una piccola cavità del volume di una cameretta, con accenni di concreazioni calcaree, a cui si accede a carponi da un ingresso abbastanza angusto. Il prigioniero veniva trattato relativamente bene, potremmo dire perfino troppo bene, sia quando si trovavano nel paese di Serre di Mosciano, sia in quei tre o quattro giorni trascorsi in questo nascondiglio, infatti mangiavano insieme quello che era disponibile. Qui venivano riforniti da qualche benefattore di Sorifa, con suo grande rischio : chi veniva a portare il cesto con le vettovaglie poteva essere visto dal fascista prigioniero e poi individuato al momento della rappresaglia (uno di questi era il quarantenne Domenico Gallina , che per sua fortuna non venne riconosciuto poi nella mattinata quando sulla piazza del paese tutti furono interrogati e minacciati.) Verosimilmente il prigioniero restava libero di muoversi dentro la grotta , e comunque non era bloccato e ben assicurato neanche durante la notte. Infatti proprio nella notte tra il 21 e 22 aprile 1944, profittando della distrazione o del sonno dei suoi guardiani, il Quattrini riesce a scappare e la mattina seguente ritorna con una squadra di tedeschi e fascisti. Questi incontrano sulla strada Enrico Leonardi di Sorifa, che viene interrogato e condotto sul luogo chiamato “piano” affinché indicasse loro l’esatta ubicazione del nascondiglio.
Dall’ interno della grotta non sarebbe stato possibile udire voci di persone che si fossero trovate poco sopra sul piano in prossimità delle balze, anche a causa del fragore delle cascate nella forra giù a valle, dove, essendo aprile, sicuramente scorreva acqua abbondante. Una circostanza oggettiva e non secondaria è che quell’anno la stagione primaverile era in ritardo e quindi i boschi erano ancora spogli; se questi fossero stati già rinverditi, come lo possono essere a fine aprile , avrebbero offerto ai patrioti più grandi possibilità di nascondersi e di sfuggire al rastrellamento della primavera 1944 , nonché di organizzare una valida guerriglia sulle montagne umbro-marchigiane. Nonostante il prudente tergiversare di Enrico Leonardi (così come egli racconta) il “repubblichino” riesce ad orientarsi e a trovare il punto di accesso alla grotta. Il Quattrini in testa, un altro fascista e un soldato tedesco cominciano a scendere il breve e scomodo sentiero che conduce all’ entrata della grotta. Come si è detto la cavità è di modeste dimensioni e tale che, una bomba a mano che fosse stata gettata all’ interno avrebbe prodotto effetti micidiali. Si sente gridare:” Eccoli, ci sono! Uscite fuori! “ . Escono con le mani alzate i due partigiani che vi si trovavano, il diciannovenne Paolo Ferrari di Cremona e il venticinquenne Bartolomeo Armillei detto Lello, di Sorifa.
al di sotto del dirupo prospiciente l’ ingresso della grotta; un salto di pochi metri, ma molto insidioso per la natura del terreno, infatti nel cadere si rompe la schiena rimanendo immobilizzato. Se fosse riuscito a superare lo sbalzo senza danni e senza essere colpito forse avrebbe avuto una possibilità di dileguarsi nella boscaglia e negli anfratti che offre il luogo delle balze. Secondo l’ opinione di alcuni quello non fu un realistico tentativo di fuga, ma una decisione suicida volta a non cadere vivo nelle mani dei nazifascisti. Un soldato tedesco si recò presso lo spaccio del paese per prelevare “due uomini forti” -così disse- e furono presi Domenico Mingarelli (1905-1978) e Amino Gallina ( 1908-1980), entrambi di Sorifa. Almeno quattro uomini scesero per recuperare il ferito e riportarlo sul piano, seguendo il sentiero del vecchio mulino. Tra questo gruppo lo stesso Enrico Leonardi ( 1916-1999) e Angelo Nati ( 1919-1994). Quest’ ultimo racconta che Lello gli rivolse una pietosa richiesta: “Boccè, vamme a chiama’ mamma. “ Un’ estrema volontà che fu impossibile esaudire, poiché tutti gli uomini del paese erano stati radunati e tenuti sotto la minaccia delle armi . Profondamente sofferente alla schiena implorava di essere ammazzato subito. Fu trasportato presso lo spaccio di Sorifa e interrogato. Dopo questa ulteriore ed inutile violenza venne ricondotto sul bordo delle balze e fucilato a cento metri dal nascondiglio, nel posto dove oggi è visibile un’ edicola in muratura.
Falciato da una scarica proprio sul ciglio delle balze rotolò lungo il ripido pendio ed il corpo esanime si fermò a pochi metri trattenuto dagli arbusti. Sembra che Lello , classe 1919, fosse già stato chiamato al servizio militare, infatti nella foto veste la divisa dell’esercito, ma che dopo qualche tempo fosse stato esonerato per motivi familiari, infatti 3 anni prima , proprio il 21 aprile 1941, era nato il suo unico figlio Carlo. Durante la guerra aveva lavorato presso gli stabilimenti militari di Scanzano di Foligno. Nelle poche foto esistenti Lello appare sempre con la fisarmonica in occasione delle feste di matrimonio che animava con la sua musica. Prima del fatto descritto sopra la pattuglia di nazi-fascisti fu vista tornare verso lo spaccio di Sorifa con il prigioniero Paolo. Dalla finestra della propria casa Santa Leonardi (1902-1978) e la figlia Rina Mingarelli videro la squadra di soldati che veniva dal piano in fila indiana attraverso l’ aia della trebbiatura, dietro la loro abitazione. Poco dopo, dalla casa di Rinaldo Leonardi (1906-2000) fu osservato lo stesso gruppo che proveniva dal ponte con il prigioniero Paolo, il quale camminava a piedi scalzi e con una mitragliatrice caricata sulle spalle. Rinaldo Muzi ( 1931-2013 ) ricorda che una volta Paolo aveva regalato al ragazzino di Sorifa , Sabatino Gallina, una coccarda tricolore da mettere sulla giacca, e ricorda inoltre che quella mattina Paolo stava poggiato ad un albero di noce davanti alla casa di “Annetta”, capelli dritti e spettinati, irriconoscibile. Il giovane Paolo fu condotto attraverso il Monte Faeto in comune di Valtopina e la sera stessa fucilato nella località Santa Cristina. Dal racconto di Angelo Mingarelli ( 1926) di Sorifa sappiamo quanto segue. Un milite fascista gli ordinò di andare a casa a prendere qualcosa da mangiare e indumenti per coprirsi (minacciava di piovere), con l’avvertimento che se non tornava subito sarebbero andati a prenderlo. Angelo Mingarelli, Basilio Mingarelli (1925-1990) Bino Ansuini ( 1921 ) e Agostino Capoccia di Castiglioni furono prelevati in quel giorno 22 aprile e dovettero accompagnare la squadra di tedeschi nel tragitto attraverso il Monte Faeto, utilizzati come guide o forse anche come ostaggi. Paolo dovette trasportare sulle spalle, a bisaccia, due casse di munizioni. Angelo chiese ad un “repubblichino” se poteva aiutarlo a portare il carico, ma ricevette una secca risposta negativa. Presso la “casetta Riboloni” , sul “ Monte Stravignano”, si radunano molti soldati. Lì fu trovato un letto che venne dato alle fiamme; era stato usato da patrioti. Quando si trovavano nella valle sita ai piedi del Monte Faeto Paolo chiese ad Angelo, che aveva cominciato a mordere la sua pagnotta : “me ne dai un pezzetto? Giunsero nella frazione di Giove nel comune di Valtopina , dove alcune donne si fecero incontro al gruppo offrendo bicchieri di vino. A Paolo che non desiderava il vino (sicuramente la fame era più forte della sete di vino) un soldato intimò di bere. In quel posto i tedeschi spararono un razzo di segnalazione. Albina Ninassi di Pietro ( 1924) racconta di aver visto il gruppo arrivare all’ abitato chiamato “Il Poggio” e di aver notato Basilio Mingarelli che portava un fagotto ed era tremante. In casa Ninassi entrò tutta la squadra dove mangiarono e bevvero , poi entrarono anche nella casa della famiglia Pica;
lì Paolo fu rivestito, poiché – dice Albina – aveva i vestiti pressoché stracciati. Risulta infatti che in quel periodo il giovane vestiva indumenti e stivali da carabiniere, frutto della razzia che i patrioti mesi prima avevano eseguito con un abile colpo di mano presso la caserma dei carabinieri di Gualdo Tadino. Presso la chiesa di Santa Cristina gli ordinarono di togliersi gli stivali, ed egli se li tolse con i piedi; segno che questi erano stati calzati da poco e lasciati aperti. Da Bino Ansuini (1921), testimone oculare, abbiamo la seguente testimonianza: fui prelevato a Le Prata il 22 aprile e condotto a Santa Cristina attraverso il monte Faeto, con un sacco di munizioni caricato sulle spalle . Nella località Santa Cristina tutti riposarono seduti. Vidi giungere sul posto un altro gruppo di tedeschi che avevano catturato il patriota Angelo Biconne di Nocera . Al sottufficiale tedesco che gli si avvicinò Paolo indicò a gesti il proprio orologio che gli venne sfilato, poi ricevette una spinta e rotolò giù nella ripa…. Quindi ricevette prima un colpo, e poi una scarica. Gli stivali furono riposti da un tedesco dentro lo zaino.Angelo racconta che non poté trattenere le lacrime , mentre Basilio , più freddo, lo consigliò energicamente di non farsi vedere piangere. Nella serata il parroco portò il povero corpo dentro la chiesa. Del fascista Quattrini si conosce molto poco, sembra che provenisse da Spoleto e che dopo la guerra , in anni più recenti, si fosse “imboscato” alla città del Vaticano. Nel Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del giorno 12 aprile si legge: Il 6 corrente, in Nocera Umbra (Perugia), due ribelli armati catturano di sorpresa Il milite Guerrino Quattrini, che si trovava in servizio nei pressi del mattatoio. Ed inoltre con data 7 maggio 1944 : Giunge solo ora notizia che il 21 aprile u.s., alle ore 9, in Nocera Umbra, il milite della G.N.R. Guerrino Quattrini, che nei primi giorni del mese di aprile era stato catturato da una banda di ribelli, eludendo la vigilanza degli stessi, riuscì a fuggire e a rientrare al proprio distaccamento. Non si fa cenno alla cattura e fucilazione dei due patrioti. Il giovane Paolo, insieme a molti altri giovani della cittadina di Calvatone, in provincia di Cremona, erano stati presi in una retata dei fascisti, arruolati e subito spediti verso il fronte di Cassino. Come racconta il compaesano Giulio Balestreri (1925), profittando di un bombardamento alleato su Foligno, questi cremonesi scapparono dal treno verso la montagna e quattro di essi pervennero poi nella zona di Sorifa, dove si stabilirono per alcuni mesi. Paolo Ferrari, nato nell’agosto del 1925, aveva due sorelle più grandi, Rosanna e Luigina, ed era un bel ragazzo che piaceva alle donne; il suo aspetto dimostrava un’ età superiore a quella reale, come mostra la foto in cui appare con una sigaretta in bocca.
e suonava il clarino. La sorella Luigina, che dopo la guerra venne in Umbria per recuperare la salma ,ricorda che a Sorifa tutti gli abitanti del paese la invitavano nella propria casa con molto calore. Da Pietro Paolo (1954), figlio di Luigina e nipote di Paolo , riceviamo inoltre questa precisa informazione : Nel 1950 vennero in Umbria Mario Ferrari (1896-1971) e Luigina (1923-2012), padre e sorella di Paolo, per il recupero della salma e definitiva sepoltura. Mia madre, a distanza di anni, mi raccontava del viaggio epico nel primo dopoguerra (camion invece di treni), e con commozione mi diceva dell'accoglienza fraterna ricevuta nei vostri luoghi. La gente del paese, nel commentare il tragico avvenimento, e cioè la cattura dei due partigiani nella grotta , ha sempre messo in risalto l’ incredibile imprudenza di quei giovani, i quali , dapprima si fecero scappare il prigioniero e, dopo la sua fuga, assurdamente restarono nel medesimo nascondiglio che divenne una trappola senza possibilità di scampo. Qualcuno ipotizza che quella mattina del 22 aprile essi fossero stati sorpresi appena svegli o addirittura nel sonno, e che verosimilmente non si fossero ancora accorti della fuga del prigioniero. Da alcune circostanze e da un’ attenta osservazione del luogo si può supporre che il fascista fosse scappato, non durante la notte, ma alle prime luci dell’ alba. Secondo la testimonianza di “Leni” (Ennio Leonardi di Sorifa), a causa dello sbandamento e fuga dei partigiani del 17 aprile , i capi (Cecconelli, Sandro ) avevano ordinato alla squadra di Sorifa l’eliminazione del “repubblichino”. Evidentemente né il gruppo di Rolando Buono, né i due custodi del prigioniero si sentirono di eseguire quell’ ordine.
Pietro Nati