(A.L.) Come ogni fine anno vengono sfornati dati statistici che comunque vanno presi con le molle perché andrebbero suddivisi almeno per settore: beni primari, riscaldamento, mobilità, servizi e via dicendo.
Per cui si tratta di indicatori non proprio precisi ed il loro impatto sulle tasche degli utenti non incide allo stesso modo perché bisognerebbe anche valutare la fascia di reddito presa in considerazione.
Fatta questa doverosa premessa vediamo quanto ha inciso sulle tasche dei ternani e dei perugini, che sono le due realtà prese in considerazione dall’Unione Nazionale Consumatori.
I primi hanno avuto rincari per 337 euro pari all’1,5% (il dato nazionale è dell’1,2%) mentre i perugini si sono fermati a 180 euro occupando rispettivamente il 20° ed il 64° posto con una differenza di 157 euro.
Ma non è detto che il differenziale premi il capoluogo di regione perché a detta dell’Associazione Consumatori spendere di più potrebbe anche dire che c’è una propensione a migliorare il proprio tenore di vita in quanto si scelgono merci di qualità migliore. Difatti al nord c’è una spesa pro capite maggiore rispetto al sud con il fanalino di coda che è Potenza con soli 63 euro.
Comunque siamo ben al di sotto del tasso d’inflazione consigliato dalla Comunità Europea che è del 2% .
Questi indicatori, dal punto di vista della qualità della vita, lasciano il tempo che trovano perché magari al sud e nei piccoli centri esiste una maggiore produzione e autoconsumo di beni, soprattutto alimentari, mentre al nord ci si affida di più a prodotti pronti o di marca.