Di Adriano Marinensi – Ha detto, giorni fa, il decano dei sociologi italiani prof. Franco Ferrarotti (quasi 94 anni di intelligenza viva): “Se tutto diventa cultura, niente è più cultura”. Il riferimento riguardava la bacchettata del maestro Riccardo Muti, il quale ha censurato le emittenti televisive per la esagerata presenza di trasmissioni dedicate alla cucina. In sostanza, ha detto (autorevolmente) “basta ai cuochi in TV; diamo più spazio alla cultura”. C’è infatti chi vorrebbe contrabbandare il “lavoro in cucina”, teletrasmesso diverse ore al giorno, per “scienza culinaria”. Ed allora, giusta l’affermazione “se tutto diventa cultura, niente è più cultura.”
Ha aggiunto Muti: “Il pubblico ormai applaude a comando; questo è narcotizzare la gente che avrebbe invece bisogno di una sferzata di cultura, la colonna vertebrale della nostra storia per non perdere l’identità di chi siamo.” E’ proprio così ed uno strumento di manipolazione di massa qual è la televisione, non può inserire nei suoi palinsesti pletore di cucinieri, quasi fossero operatori del sapere. Ha ragione Ferrarotti; “La gastronomia è tutt’al più uno stile di vita, da non confondere con la cultura.” In troppi spazi televisivi oggi è possibile riconoscere il declino imposto alle capacità razionali del cittadino, orientato verso settori d’ascolto e visione senza alcun carattere che sappia di evoluzione e di sviluppo intellettuale. Del narcisismo logorroico di molti telecronisti sportivi ho scritto in altra occasione. Per loro basta una parola: In – sop – por – ta – bi – li.
Dunque, “T. V.: fata o strega?” L’interrogativo se l’è posto proprio Ferrarotti, una trentina di anni fa, in una sua raccolta di pensieri intitolata “Note di viaggio e pagine sparse”. Forse è un po’ fata e un po’ strega. Di rilevante ci sono gli effetti etici e sociali che alla T. V. sono richiesti. Sarebbe opportuno operare un minimo di verifica tra congruenze e incoerenze rispetto all’incidenza del messaggio generale in una democrazia realizzata. Il dovere d’essere strumento promozionale comporta stile e responsabilità. “E’ una nuova agape di massa – sostiene Ferrarotti – che esercita quasi un monopolio dell’immagine”, sconfinando indebitamente – si potrebbe aggiungere – nel terreno delle scelte di vita individuale e collettiva. Che – ancora Ferrarotti – definisce “il potere di determinare l’ordine del giorno”. Senza diritto di riflessione per lo spettatore, investito com’è da una sequela di sollecitazioni e quindi privato dell’interlocuzione e del diritto di senso critico. Compresi nel discorso i cosiddetti consigli per gli acquisti. Un tempo lontano compariva sulla piazza il Dulcamara di Donizetti per magnificare il suo elisir d’amore. Non è eretico porlo alla stregua della pubblicità strabondante dal piccolo schermo e talvolta sorpresa nell’esercizio del servo encomio al semplice scopo di lucro.
Nella “raccolta di pensieri” citata sopra, si legge: “Lo spettatore è ipnotizzato e si avvia a diventare un teledipendente”. Vale a dire incapace di giudizio dialogante, scaturito dal tempo di riflessione. In tale condizione psicologica, tutto passa nell’ascolto, persino le tante ore dedicate alla cucinatura; compresi gli applausi ripetuti ad ogni pietanza e senza alcun senso del ridicolo. La speme, ultima dea, è che si sia aperto un dibattito autorevole, a livello nazionale, capace di rimettere la T. V. (fata o strega che sia) sui giusti binari. Magari attraverso un controllo di risultato culturale – che non vuol dire censura – di taluni programmi dedicati ad argomenti socialmente marginali e misurati con il solo metro dell’indice d’ascolto. Talvolta pure pilotato.
Se la T. V. rappresenta uno dei primi segni della moderna tecnologia e necessita di qualche revisione, un’altro ce n’è (di segno innovatore) più vicino ai nostri giorni che abbisogna di particolare attenzione: l’intelligenza artificiale. Una persona informata dei fatti (e della materia) ha rilasciato, di recente, una intervista illuminante su alcune questioni che scaturiscono da questa nuova era della civiltà delle macchine. A parlare è stato lo scienziato italiano Roberto Cingolani, ascoltato dal collega Paolo Travasi. La materia è ovviamente complessa e di difficile accesso, ma alcuni aspetti si possono cogliere. Innanzitutto il titolo virgolettato dell’intervista: Se l’intelligenza è artificiale, servono regole. Evidentemente per evitare che gli effetti della rivoluzione ci sfuggano di mano come all’apprendista stregone. Perché, di un sovvertimento scientifico già cominciato si tratta. E potrebbe addirittura diventare un pericolo se usato per scopi illeciti.
“Talune soluzioni tecnologiche – sostiene Cingolani – si sono sviluppate troppo velocemente”. Perciò, occorre evitare di essere travolti da ritmi troppo alti, “per non diventare schiavi del prodotto e recuperare l’umanesimo, il senso della nostra storia.” Siamo di nuovo nel campo della promozione culturale che si esige sia congrua ai valori dell’uomo e non sconvolga il suo potere raziocinante. Ecco allora, la necessità di definire il rapporto tra l’umano e ciò che produce nel campo della robotica, dell’interazione uomo – robot. Questi nuovi soggetti volenterosi debbono essere ausiliari e non competitori. Competitori che, tra l’altro, consumano molta energia e richiedono controlli di sostenibilità ambientale.
Ancora Cingolani: “L’uso spregiudicato delle macchine nei lavori di routine avrà un impatto molto forte e colpirà le fasce più deboli del mondo del lavoro.” Le tutele occupazionali vanno quindi attivate per evitare distorsioni legate alle soluzioni che l’intelligenza artificiale propone. Diversamente la comparazione tra costi e ricavi potrebbe rivelarsi perdente per l’uomo. E porre interrogativi alle analisi sociologiche di natura etica e non soltanto scientifica.
Mi sono avventurato senza paracadute in un lancio difficile, di ultima generazione. Mi fermo qui, in quanto lo scopo prefisso era quello di segnalare – peraltro con la scienza altrui – l’entrata in campo di novità destinate ad avere un forte impatto su alcuni costumi tradizionali della organizzazione civile. L’intelligenza artificiale è una conquista che necessita anche di un qualche assetto normativo nel verso giusto del progresso. Ed un vigile interesse dell’opinione pubblica.