di Adriano Marinensi – La traccia di questo articolo l’ho inserita nel computer prima dell’epidemia. Non l’ho cancellata, però un aggiornamento è indispensabile, alla luce degli ultimi eventi. Anzi nelle tenebre della ecatombe verificatasi tra gli ospiti delle Residenze Sanitarie per Anziani, soprattutto del milanese. Una generazione nata a cavallo degli anni ’30 – ’40 del secolo scorso è stata decimata. E’ il tema del giorno e le Procure stanno indagando. Principalmente a carico del Pio Albergo Trivulzio. Riguardo a tale Istituto, il titolo di un quotidiano è impressionante: “Nella settimana di Pasqua, più di 6 morti al giorno.” La vita e la morte hanno abitato nella stessa dimora. Non ho cancellato la traccia dell’articolo riguardante il “discorso sulla vecchiaia”, nella speranza (meglio nella certezza dell’anima): 1) che la Magistratura faccia presto il suo dovere; 2) che altrettanto presto si possa tornare a realizzare soluzioni per la terza età in condizioni normali.
Nell’ultimo libro che mi ha inviato, con la immancabile dedica (ancora grazie!), il prof. Franco Ferrarotti è comparso in una veste che non mi era nota. Differente dall’altro conosciuto conversando insieme e leggendo le tante sue opere letterarie. L’ultimo libro è stato stampato nel novembre scorso e si intitola Dialogo sulla poesia. La poesia – lui dice – spogliarello psichico e sacra pisside. Ferrarotti rimatore che affronta, con penna sapiente, talvolta arguta, tal altra puntuale nella introspezione, persino aspetti di rilevanza sociale.
Ma, io non sono critico letterario e, per di più, non ho mai scritto in versi, perciò, di un’altra parte di quel testo vorrei parlare. Vale a dire, del “discorso intorno alla vecchiaia” che Ferrarotti affronta (da persona informata dei fatti) durante l’intervista contenuta nella prima parte del volume. Cercherò di assumere l’argomento con pari coscienza, trovandomi – così si suol dire – a remare sulla stessa barca. Della vecchiezza parla in modo disincantato, come si addice ad un intellettuale di lungo corso, rimasto nel pieno delle facoltà razionali, ancorate ad una memoria senza lacune. C’è, nell’argomentare, una forma di contestazione per la società moderna, orientata dalla tecnologia tuttofare che considera l’anziano molto anziano, un soggetto poco importante al processo di rapida evoluzione.
La prima risposta di Ferrarotti è data ad una domanda forse un po’ cruda: La vecchiaia si rende indegna di pietà se si adegua passivamente al ruolo di premonizione della morte? Risposta: Allora parliamo della vecchiaia che io sto vivendo con una certa sorpresa. Il mio medico di riferimento mi dice: Tu stai abbastanza bene, però stai attento che hai una certa età; sei vecchio, ma non hai ancora scoperto la vecchiaia. I tuoi tempi sono da persona giovane ed un corpo che fa fatica a seguire quei tempi. Il risultato è la vertigine. Ha ragione il professore: la vertigine – dico io – rappresenta il malanno che spesso ti costringe in casa, quasi fossi agli arresti domiciliari. La vecchiaia – di nuovo Ferrarotti – ti insegna a muoverti stando fermo; mi sta insegnando di viaggiare di meno, fare meno cose, dare sempre tempo al mio organismo di raccordarsi con la volontà di movimento.
Ed ecco il discorso del veterano nel fisico, ancora gagliardo nello spirito, che si volge verso la realtà moderna. Dice: Questa è un’epoca destinata alla dementia digitalis planetaria. Perché, avendo perduto la memoria, non sa cosa farsene dei vecchi. Aggiunge: Una volta, nella società preindustriale, agricola, artigianale, il vecchio era lo scrigno della memoria, era la saggezza. Oggi è un vuoto a perdere e i cambiamenti sono così rapidi che l’esperienza dei vecchi diventa un pregiudizio che ostacola il progresso invece di aiutarlo. Prima conclusione: La vecchiaia è considerata nei suoi aspetti legati alla decadenza fisica e non come tesoro di esperienze esistenziali. Questo ha interrotto la continuità tra le generazioni.
Mi permetto di intromettermi abusivamente nel discorso del Professore per esprimere un parere. Secondo me la memoria del vecchio è poco apprezzata anche perché ormai affidata a quello strumento usurpatore rappresentato dal mare della conoscenza tecnologica dove si può “navigare” per tutto sapere, passato e presente, seppure a volte con un po’ di approssimazione. Internet ha massificato, in un enorme contenitore, l’intera vicenda umana e la elargisce nel tempo di un clic. Però, freddamente, con poca valutazione logica e razionale e priva di sensibilità che, in passato, il vecchio aggiungeva all’informazione.
Ma, torniamo al prof. Ferrarotti ed al suo “discorso intorno alla vecchiaia”. Definisce perduta la società nella quale il vecchio sia molesto. (Giudizio forse interessato, però sacrosanto). Perché, la società – lui lo sostiene similmente ad Aristotele – nasce dalla unione di più famiglie, da una comunanza ed il principio – guida del quale ogni società ha bisogno, oggi è stato riconosciuto nell’innovazione tecnica. La tecnica però – aggiunge – è un valore strumentale, non un valore finale. Fosse invece una società bene ordinata, i vecchi dovrebbero essere visti testimoni del valore di ciò che sembra superfluo, invece è essenziale.
Sin qui, il prof. Ferrarotti ispirato dalla analisi sociologica. Le sue valutazioni derivano dalla capacità di lettura di una modernità che, avendo cominciato a delegare molto del dovere di riflessione e raziocinio alla “intelligenza artificiale”, sta smarrendo i contenuti peculiari dell’umanesimo, della cultura civile, del rispetto dell’individuo, talvolta considerato obsoleto al pari dell’innovazione rapidamente superata. E’ una “devianza” pericolosa che ha per bussola le strategie operative che danno cittadinanza attiva al vigore, al tornaconto, alla rendita e ad altre qualità nei vecchi sbiadite; così da farli diventare, in termini economicistici, un valore marginale. Mentre si affollano i dibattiti, le tavole rotonde o quadrate, sul tema: L’anziano, problema o risorsa? E la risposta si perde nel turbinio delle dotte e a volte illeggibili elucubrazioni.