Francesco Rosi, l’immobiliarista perugino che il 25 novembre del 2015 uccise a colpi di fucile la moglie Raffaella Presta, non ci sta a dover passare tutti i 30 anni di galera inflitti dalla sentenza emessa dal Tribunale di Perugia.
Il 27 giugno si tornerà a discutere, stavolta davanti alla corte di assise di appello della sentenza di primo grado. L’ex immobiliarista punta a uno sconto ulteriore rispetto alla pena irrogata con il rito abbreviato. La difesa rappresentata dagli avvocati Francesco Cappelletti e Fabrizio Massetti, ritiene che possano essere rivalutati elementi “non adeguatamente considerati” in primo grado. Allora la battaglia più dura era stata condotta per far cadere il reato di maltrattamenti, che invece aveva retto. Ma riflessi sul calcolo della pena irrogata potrebbe avere anche una rivalutazione delle circostanze attenuanti.
I parenti di Raffaella Presta dopo il primo verdetto avevano dichiarato a caldo che avrebbero presentato istanza al pm Valentina Manuali affinché impugnasse la sentenza. Sono stati subito ritenuti congrui la condanna del reo confesso e i risarcimenti (un milione e 200 mila euro al figlioletto che era in casa al momento del delitto, 700 mila euro a ciascun genitore, 400 mila euro al fratello e alla sorella di Raffaella), ma in quel frangente pesava il fatto che non fosse stata riconosciuta la premeditazione. L’aggravante, infatti, era stata esclusa insieme a quelle della crudeltà e dei futili motivi.
“Cercheremo di difendere la sentenza di primo grado”, chiarisce però l’avvocato Marco Brusco che assiste i parenti di Raffaella. Il 27 giugno saranno presenti ancora una volta, a fianco della pubblica accusa, anche il Centro pari opportunità della Regione con l’avvocato Gemma Bracco, le associazioni Libera…Mente Donna e Rete anti-violenza. Per ciascuna di queste realtà era stato stabilito un risarcimento di ben 15mila euro e anche in tal senso c’era chi aveva parlato di sentenza “esemplare”.