di Benedetta Orsini Federici – La lettura, uno strumento per dare conforto all’anima e al corpo. Uno spazio in cui ritrovare se stessi o approdare in luoghi immaginari. Una passione che, se coltivata nel tempo, può condurre a lidi inaspettati e condivisi che si fondono tra armonia e altruismo.
Con questo spirito alcuni mesi fa, circa 40 volontari umbri, accomunati da medesimi intenti, si sono riuniti attorno al “Circolo dei lettori di Perugia” per dar vita al progetto “Un libro. Un sorriso” del quale ce ne parla il coordinatore Bruno Taburchi.
Bruno, come nasce l’idea di questo progetto pilota triennale presso il reparto di oncoematologia pediatrica dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia?
«L’idea è stata dello scrittore Gian Paolo Serino, che ha lanciato questa iniziativa a Milano ed attraverso una nostra amicizia in comune, Cinzia Sposato, cui è affidata l’organizzazione del progetto a Perugia, siamo riusciti a farla decollare nella nostra città. A spalancare le porte del reparto sono stati il professor Brunangelo Falini ed il direttore di oncoematologia pediatrica Maurizio Caniglia. Loro hanno aperto la strada ma la qualità del nostro progetto è il contributo dei volontari, i quali vanno in prima linea per leggere a bambini e ragazzi dai 3 ai 25 anni, che si trovano in reparto».
Puoi spiegarci cosa fate voi volontari del “Circolo dei lettori” in reparto?
«Letteratura in punta dei piedi. Con sensibilità, elasticità mentale e sano distacco si va nelle stanze con mascherine, cuffie, camici ed in tasca tante storie da raccontare. Cerchiamo tipologie di testi calibrati che, con slancio costruttivo, possano regalare loro dei sogni guidati da serbare nel cuore. Ulisse, Tom Sayer e Prezzemolina, sono figure che suscitano alcuni stimoli utili per ricostruire un cammino immaginario personalizzato che sia di supporto al loro percorso di vita, fatto di farmaci che stancano corpo ed anima».
Ogni quanto andate in reparto?
«Una volta a settimana, generalmente il sabato pomeriggio. Andiamo in squadre di 3/4 lettori per fare letture di coppia animate, oppure faccia a faccia. In reparto siamo anche supportati dai volontari della fondazione Chianelli che ci orientano di settimana in settimana sulle persone più ben disposte a recepire i viaggi immaginari attraverso i nostri racconti».
Cosa leggete ai vostri auditori?
«I ragazzi incontrati fino ad ora si sono lasciati sedurre da varie tipologie di storie: dai miti classici, l’intramontabile Omero, ai romazi storici, testi di fantascienza, ma anche fiabe del centro Europa, Italo Calvino, Charles Dickens e Mark Twain; dipende dall’età che hanno. Abbiamo anche destintari stranieri e quindi cerchiamo di leggere racconti esteri e mandare in reparto volontari che parlano inglese e spagnolo, per creare un rapporto diretto con loro. Prediligiamo racconti scorrevoli, neutri ed armonici».
Quali sono le caratteristiche che deve avere un volontario?
«Deve avere una bella forza interiore, anche se ci sono sempre gli psicologi a disposizione. Elasticità, umiltà e capacità di adattamento ad ogni situazione per capire le esigenze dei nostri piccoli destinatari».
Quali sono le abilità messe in campo dai volontari nel reparto di oncologia pediatrica?
«Ricordarsi che prima viene il sorriso e poi il libro. Un sorriso fatto con gli occhi e che sappia andare aldilà della mascherina che ti copre la bocca. Perché per far entrare in modalità di ascolto ci vuole calore umano ed empatia. Cogliere il momento e le dinamiche circostanti, osservare, capire, rielaborare e proporre di entrare in una strada letteraria ed immaginaria. Bisogna affrescare le immagini delle storie per metterli nella condizione di ricrearle nella loro mente. Noi facciamo lettura da camera in cui serve pazienza, in cui i racconti sono spesso interrotti da situazioni contingenti, ed è proprio in questi momenti che dobbiamo essere bravi a rimanere empatici».
Sappiamo che anche tu sei andato in corsia a raccontare storie. Quale sono le emozioni che suscita il contatto con una realtà così impattante?
«Ammetto che mi piacciono molto i giovani ed i loro turbamenti; amo interfacciarmi con loro e farli magnetizzare alle storie che racconto. Ho desiderio di trovare una buona sintonia con loro e nel momento in cui entriamo in contatto provo una gioia tranquilla. É un’esperienza eccezionale che non finisce di arricchire il nostro lavoro, in cui la dolcezza è uno strumento, a mio avviso indispensabile, per interiorizzare le forti emozioni che aleggiano nell’aria. Ogni volta torno a casa più arricchito interiormente. Noi volontari non facciamo nulla di speciale, ma magari a questi racconti che lasciamo nel loro cammino, i ragazzi ci si potranno appoggiare: non lo sapremo mai quanto abbiamo dato loro».
Un augurio per questi giovani?
«Di guarire in fretta e poi chissà che… tutti questi voli immaginari creino un domani penne brillanti di futuri scrittori o voraci lettori».