La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dalla difesa che chiedeva per il proprio assistito il riconoscimento di alcune attenuanti.
Francesco Rosi sta scontando la pena di trent’anni di reclusione per l’assassinio della moglie Raffaella Presta, fatto avvenuto il 25 novembre 2015, nella propria abitazione di Perugia.
Il ricorso della difesa era impostato sul fatto che nel verdetto era secondo loro tenuto poco in considerazione il fatto che lui avesse agito per effetto della forte provocazione causata dalla consorte. Sulla su tale tesi la Corte ha escluso che si possa assegnare la veste di provocatrice ad una donna che non solo si è sforzata di superare la forte crisi coniugale soprattutto per il bene del figlio, ma che ha subito per quasi un anno vessazioni e umiliazioni da parte del marito Franceso.
E anche il secondo motivo di ricorso sull’applicazione dell’aggravante di aver agito alla presenza del minore, la Corte lo ha ritenuto infondato.
Il 10 luglio scorso, la condanna a trent’anni di reclusione di Francesco Rosi è diventata definitiva.