di Adriano Marinensi – “Irresponsabile, incosciente, preoccupante, imprudente, senza coraggio” e molto altro ancora: c’è mancato soltanto gli dicesse “cotica”.
Da quando esiste, in Italia, il Parlamento repubblicano, non s’era mai sentito, in una delle sue Aule, un giudizio così pesante (uso un eufemismo) da parte del Presidente del Consiglio nei riguardi (anzi, senza riguardi) del suo Vice. Il discorso di Giuseppe Conte, in Senato, è parsa la requisitoria della pubblica accusa in un processo politico durato 14 mesi. Ora, il “feticcio” gialloverde è caduto e si faccia presto per uscire dal pantano dove la pochezza di Governo ci ha ridotti.
Il processo, senza risparmio di colpi bassi, ha avuto in oggetto gli atteggiamenti poco consoni al ruolo, le decisioni unilaterali, le furberie, le pretese slealtà del Ministro dell’Interno che, a sentire il Capo dell’Esecutivo, ha passato più tempo in campagna elettorale, sulle piazze e sulle spiagge, con indosso le magliette dei corpi di polizia, il casco dei pompieri in testa, il diletto figlio a scorrazzare in mare sulle moto d’acqua della P.S.; assai meno nell’adempimento dei delicati doveri ministeriali. Un po’ dovunque, salvo al Viminale. Lo avesse pronunziato prima il J’accuse, ci saremmo risparmiati – oltre al poco dignitoso duello rusticano, in diretta televisiva – un fallimento amministrativo e soprattutto il rischio di pericoli economici tutt’altro che ipotetici, sulla pelle dei cittadini. Di peggio, qualche giorno prima, inopinatamente, il Vice Matteo Salvini aveva presentato una singolare mozione di sfiducia contro il suo Capo. Poi, ritirata in maniera grottesca. Di fronte a siffatta guasconata, potremmo addirittura dire che, al cospetto, il Carnevale è una cosa seria.
Non è mancata una plurale e rigorosa censura per le Invocazioni mariane, i Crocefissi e i Rosari, sventolati dal Ministro dell’Interno durante le sue esibizioni arruffapopolo. Oltre a Conte, il biasimo è stato espresso, altrettanto autorevolmente, dai Cardinali Angelo Bagnasco (Presidente dei Vescovi europei) e Antonio Spadaro (Direttore di “Civiltà Cattolica”). Papa Francesco ha altresì ricordato a chi chiude i porti, che i richiedenti asilo, in fuga dalla violenza e dalla miseria, imbarcati sulle navi tenute sofferenti al largo, sono nostri fratelli e meritano rispetto, soccorso e accoglienza.
Sul versante laico, parimenti importante appare la necessità di rimuovere i sentimenti di antagonismo, fatti penetrare nel tessuto sociale dai seminatori di zizzania, in nome di un preteso cambiamento ispirato allo sciovinismo esasperato (lo stesso del soldato Nicolas Chauvin, fanaticamente devoto a Napoleone), antistorico, antiumano e antieuropeo. E’ stato ricordato, nell’aula parlamentare, che ai governanti spetta il compito di promuovere la cultura della tolleranza, della solidarietà e del dovere civile, cardini fondamentali di ogni avanzato Paese autenticamente libertario. Costruire, non demolire, perché l’interesse della collettività viene molto prima del tornaconto partitico. E le forze politiche di Governo, del costruire portano la primaria responsabilità.
Nel perseguimento di questi obiettivi, i cosiddetti “decreti sicurezza” – lo scrivo per esempio – sono rischiose pietre d’inciampo. Per chi si ispira ai valori della pace e della fratellanza (quindi i cattolici, in primis), certe correnti di pensiero in palese contravvenzione, debbono essere motivo di riflessione; il messaggio aggressivo insinuato nell’opinione pubblica, porta alla adulterazione dei rapporti, a totale danno dei deboli e degli indifesi. La plateale lesione dei diritti umani e civili, contenuta nel “sicurezza bis” (dal collega Massimo Giannini meglio intitolato “Ferocia e viltà”) e le esternazioni della invadente dottrina fascio – sovranista, hanno messo in ansia pure il Capo dello Stato, visto il richiamo contenuto nella lettera di accompagnamento alla legge di conversione. Va aggiunto che il controllo poliziesco del territorio nazionale, teorizzato nel provvedimento, richiama talune improvvide difese del “sacro suolo della Patria”, procuratrici, nel passato, di solitudini nel contesto internazionale, oggi aggravate da presuntuose superbie in politica estera.
Verso obiettivi di simile stampo tendono vanesie, quanto temibili, richieste di “pieni poteri” avanzate dal Segretario della Lega, con conseguenze negative quanto meno sugli equilibri istituzionali dello Stato. Se volgiamo lo sguardo al passato, due episodi possiamo cogliere, lontano e vicino nel tempo. Il popolo la sua sovranità, in queste due occasioni, l’ha ceduta, con conseguenze dissestanti. In antico a Giulio Cesare, un secolo fa a Benito Mussolini ed è sempre finita male. Disse il maestro di Predappio: “Potevo fare di quest’aula (il Parlamento italiano, n.d.a.) sorda e grigia, un bivacco di manipoli.” Due usurpatori del potere che hanno realizzato la fattispecie dell’uomo solo al comando. Non finì per niente bene, sia per il popolo romano, sia per il popolo italiano. L’improntitudine di tale richiesta – “Datemi i pieni poteri e governerò con energia il Paese” – testimonia una assoluta mancanza di sensibilità democratica.
Dunque, pieni poteri per risolvere i problemi senza intralci intermedi e controlli di legalità, di merito, di efficacia. All’insegna dell’ordine e della disciplina, dell’orgoglio di razza, di una falsa identità nazionale. Per svincolare l’uomo forte del momento, idolatrato ed osannato, dalla zavorra delle regole, costrette per lui in un limbo senza tempo e nell’arroganza dell’imperio. E’ una bestemmia laica. E’ l’offesa conclamata alla memoria di quanti hanno sacrificato la vita per restituire agli italiani l’onore, la dignità, l’orgoglio d’essere uomini liberi. Al sovranismo populista occorre ricordare che il nostro Paese possiede gli anticorpi politici e gli strumenti operativi per rigettare tali assurde sollecitazioni, contenute in teorie che hanno riecheggiato – parola di Papa Francesco – taluni pronunciamenti di Adolf Hitler, nel 1934. E’ comunque opportuno che siffatte pretese vengano sconfitte con il voto elettorale, perché a nessuno è lecito porre in discussione il “rinascimento” post ventennio, realizzato dalle lotte di liberazione.