Domenica scorsa, all’apertura della stagione dei concerti di La grande classica al Borgo, l’assessore Leonardo Varasano, prendendo la parola per sottolineare il forte legame che unisce l’amministrazione comunale al sodalizio Borgo Sant’Antonio-Porta Pesa, ha voluto anche dare una notizia al folto pubblico che confermava il suo attaccamento alle iniziative promosse da Salvatore Silivestro, un musicista che da decenni anima ogni iniziativa musicale che scaturisce dallo storico quartiere di Monteluce.
Si trattava di comunicare agli ascoltatori convocati per il concerto di Rosalba Petranizzi ed Eugenio Becchetti, che la città di Reggio Calabria aveva da poco conferito al suo illustre esponente, Silivestro, appunto, l’ambito riconoscimento del Giorgino d’oro, la riproduzione di un’antica moneta con la quale il capoluogo dello stretto premia i suoi figli migliori. Silivestro, nativo di san Giorgio Morgeto si trova a condividere i suoi natali con un altro grande musicista dell’Ottocento, Francesco Florimo, che fu amico e biografo di Vincenzo Bellini.
Il riconoscimento quanto mai meritato cade su un personaggio a cui la musica perugino deve moltissimo, per la sua ultraquarantennale attività di musicista praticante e di organizzatore e promotore di iniziative che sono indirizzate al mondo dei giovani.
Silivestro, infatti, come presidente della sezione perugina dell’AGiMus, acronimo di Associazione Giovanile Musicale, da quasi cinquanta anni, assolve a un mandato che lo ha visto anche nell’ultimo triennio, rivestire la carica di presidente nazionale.
Una storia lunga, questa, che può essere raccontata solo da chi lo conosce sin da quando lo aveva compagno di studi nell’allora Liceo Musicale Pareggiato Morlacchi di via Fratti.
Lo ricordiamo quando lo si incontrava per i corridoi del vetusto convento dei Filippini, mura tremolati, riscaldamenti a carbone, corridoi gelati, pavimenti che sussultavano per il peso dei pianoforti. Allora era studente di composizione con Roman Vlad, una preziosità nel corpo accademico che il direttore, il musicista fiorentino Valentino Bucchi aveva voluto presenti in una istituzione che solo nel 1975 avrebbe avuto la dignità di Conservatorio. Erano i momenti del suo esame di diploma e Salvatore aveva scelto una di quelle prove che proponeva il vecchio ordinamento: la scena d’opera. Il tema suggerito era qualcosa che oggi sarebbe perfettamente attuale: il canto dantesco del Conte Ugolino, Allora si aveva a disposizione quindici giorni per stendere la partitura e Salvatore optò per un metodo drastico: si prese una camera nel convento dei Minori a Monteripido e trascorse quel tempo che sembrava lungo, ma in realtà non lo era, a tempestare la carta di passi di orchestra, di cori e di invettive baritonali. Ne uscì un diploma a tutto tondo, anche se Vlad obiettò per una parte di clarinetto che, secondo lui, non era stata scritta nella chiave giusta.
Ma Bucchi, musicista di razza, aveva puntato la sua attenzione su questo giovane calabrese che si era guadagnato da vivere come istruttore dell’Onaosi e lo volle premiare dandogli in mano la sezione AGiMus che lui aveva voluto fondare in città.
Erano tempi gloriosi quelli in cui si saliva sulla Ford Consul di Salvatore, un’auto degna dell’epopea della goliardia e si raggiungeva Firenze per sostenere la battaglia che Bucchi aveva ingaggiato col pubblico più conservatore presentando al Comunale il suo Il coccodrillo, amara parabola sull’alienazione dell’uomo moderno in un contesto in cui appariva il protagonista, l’inarrivabile Lajos Kozma, avvolto nelle lusinghe della “citta della domenica”: la regia provocante di Franca Valeri aveva vestito il coro dei panni dei contestatori che allora funestavano con la loro violenza le pizze italiane. Metà del pubblico fischiava, noi, l’altra metà, applaudivamo e sostenevamo incitando allo scontro. In quelle circostanze ci fu anche un’interpellanza parlamentare sulla questione. Qualcosa oggi impensabile.
Passarono un po’ di anni. Salvatore era andato a farsi le ossa a Modena, dove dirigeva il coro in cui cantava anche il papà di Pavarotti. Qui da noi, nella comunità di Monteluce in cui si era radicato sposando la deliziosa Fiorenza, aveva rivitalizzato il coro parrocchiale godendo della stima di don Luciano Tinarelli. Il coro esiste ancora: è passato in varie mani, ma ancora, quando canta, ha il buon gusto di ricordare tutti coloro che sono passati tra i suo leggii. Che avesse l’estro di organizzare Salvatore l’aveva già dimostrato promuovendo i concert nella sala parrocchiale di via del Giochetto.
Prima del Covid si faceva ancora oggi qualche serata. Per noi, compagni più giovani ci fu l’esaltante esperienza dell’Ottetto Vocale, belle voci per un contesto da camera dove si cantava Schubert, Rossini, Brahms, e Schumann. Si finì anche all’Estate Fiesolana, allora festival di gran pregio e la Sagra Musicale Umbra di Francesco Siciliani ci accolse nei suoi programmi.
A esperienza terminata, per la dispersione dei cantanti, avviati a carriere internazionali, Salvatore si mise d’impegno a valorizzare la sua AGiMus.
Incontrò il rettore dell’Università per Stranieri, il senatore Spitella, di cui da poco abbiamo ricordato il ventennale della scomparsa, e lo seppe convincere della necessità di accogliere nella sua aula magna una istituzione che avrebbe inondato di musica gli studenti dei corsi internazionali. Situazione che oggi celebra i suoi quarantasei anni di ininterrotto sodalizio e che il neoinsediato rettore, Valerio de Cesaris, accoglie come una eredità preziosa. Con l’altra Università. L’Ateneo, Salvatore aveva già saputo operare per il meglio, fondando il coro che raccoglie studenti, personale amministrativo e docenti in una gioiosa esperienza che ha visto più di una uscita all’estero. Ora lo dirige Marta Alunni Pini, e il livello è sempre alto e propulsivo.
Sono tanti anni poi che il teatro Morlacchi ospita il tradizionale concerto Vienna, Vienna! Con orchestra dell’oriente europeo che suonano i valzer di Strauss.
L’amministrazione comunale plaude e partecipa.
Nel frattempo, come docente di canto corale, Salvatore ha esercitato il suo magistero per più di trent’anni, avvicinando centinaia di giovani che ancora oggi lo ricordano con affetto e simpatia.
Ora, in tempi di Covid, questa geniale intuizione di tornare al quartiere d‘origine e fondare questa istituzione che si appoggia a quanto i fratelli Becchetti hanno saputo ripristinare dell’antico chiesa di Sant’Antonio Abate.
L’aula che fu dei padri Olivetani ha una acustica perfetta e raccoglie nel cartellone di La grande classica al Borgo le più autentiche proposte di giovani musicisti che Silivestro cerca di riscattare dalla umiliante penalizzazione in cui li ha scaraventati l’epidemia. A corso Bersaglieri e a palazzo Gallenga Silivestro ha destinato anche i concerti di Musica dal Mondo, un cartellone fortemente sostenuto dall’Amministrazione Comunale centinaia di componenti di complessi, cori e orchestre giovanili di tutto il mondo. E non è solo cultura perché si tratta anche di posti letto, pasti e logistica. Oltre che di promozione turistica.
Dalla lontana Calabria hanno saputo fare la loro parte. Ora tocca a Perugia di onorare un personaggio che, col passare dei lustri, non ha perso smalto, lucidità e capacità di risvegliare alla musica l’animo di tutti.
Stefano Ragni