Solo a Sant’Antonio Abate è possibile creare una situazione del genere. Quattro tastiere storiche squadernate sotto gli occhi degli spettatori e un esecutore che si alterna sugli strumenti producendo un gradito turbine di sonorità. Ieri pomeriggio, dopo che Carlo Valiani aveva dato il segnale di inizio con lo squillo delle campane cinquecentesche, il presidente Pinelli ha rivolto al pubblico la consueta allocuzione arricchendola di un particolare già noto a molti.
Gran parte del ripristino della antica aula dei padri olivetani si deve alla famiglia Becchetti, e il musicista che ci intrattiene è l’esponente maggiore, Eugenio.
Artista poliedrico, grande artigiano nella costruzione di organi, magnifico restauratore di cembali e pianoforti, che poi suona con provetta disinvoltura. Insomma un Pico della Mirandola delle canne e delle corde.
Con un musicista del genere l’intrattenimento era assicurato. Anche perché le quattro tastiere schierate in sala sono tutti manufatti da lui acquistati, curati e, nel caso dell’organo Mattioli del 1635, integralmente ricostruiti da macerie preesistenti, conservate per decenni nel degrado. Operazioni meritorie per cui Eugenio si guadagna la gratitudine della città e di quanti amano la cultura.
Riempita la sala secondo i distanziamenti previsti, il presidente AGiMus Silivestro dà inizio alla serata. Becchetti prende subito la strada dell’organo e sale in alto sulla parete d’ingresso, intonando due severe Fantasie nordiche, di Sweelinck e di Froberger. Anche perché il soggetto era proprio questo, il genere Fantasia, declinato secondo le modalità del Barocco e del classicismo. Gustato il sapore morbidissimo del Mattioli, ecco la discesa verso il clavicembalo Grimaldi, una copia di uno strumento messinese del 1630. Suono chiaro, compatto, squillante, molto coeso e diffusivo.
Entra nell’aula olivetana con autorevolezza, riempendo uno spazio acustico tra i migliori della città. Becchetti alza il tiro con la Fantasia BWV 904 di Bach, con una fuga a quattro che è un intrico di contrappunti irsuti. Contrasto più che attendibile con la seguente Fantasia di Telemann, che è tutta una vaporosa leggerezza. Becchetti, nelle gustose presentazioni, ricorda come Telemann sia il musicista più prolifico della storia e, nella sua, vita abbia anche guadagnato un sacco di soldi.
Cosa che non fu per Bach. Una svelta Fantasia in Do maggiore di Haendel, dal franco sapore di una birra bionda, convince Becchetti a spostarsi sul pianoforte Bechstein del 1892. Un trono di ebano cavernoso nel basso, trasparente come acqua di fonte negli acuti. Qui Eugenio sfodera impeccabilmente una Fantasia in re minore di Mozart che ha l’impronta del capolavoro.
Chiusura del concerto all’armonium americano, il Kimbell di Chicago, fine Ottocento, con un Karg Elert che fa il verso a Mozart. Sonorità pastose, duttili, mobilità acustica eccezionale per uno strumento da non sottovalutare. Come facevano i grandi del passato poi Becchetti, come bis, offre una sua improvvisazione: il tema lo sceglie Silivestro e l’esecutore tropizza con maestria.
Stefano Ragni