Situazione sempre più esplosiva nelle carceri umbre.
La cronaca di queste ore registra ancora violenze ai danni dei poliziotti addetti al controllo dei detenuti.
Ieri notte, alle 22,30, un assistente capo di polizia penitenziaria è stato tenuto in ostaggio per mezz’ora con una lametta al collo da due detenuti extracomunitari presso il reparto penale. Lama al collo e minacce di morte. Sfiorata la rivolta al carcere di Capanne.
La situazione è stata risolta dall’intervento di altri agenti. A darne notizia il sindacato della penitenziaria Osapp.
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IL COMUNICATO DEL SAPPE
(Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria)
Tornano al centro delle cronache le carceri italiane.
A pochi giorni dalla rocambolesca evasione di un detenuto da Napoli Poggioreale, poi catturato, un Agente di Polizia Penitenziaria in servizio nel carcere perugino di Capanne è stato sequestrato nella tarda serata di ieri da alcuni detenuti. La notizia è diffusa dal SAPPE Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria che parla di “fatto gravissimo” e sollecita il Ministero della Giustizia ad intervenire con fermezza verso i tre detenuti che hanno posto in essere il grave evento ed a attivare da subito un tavolo di confronto sulle criticità carcerarie.
Fabrizio Bonino, segretario nazionale per l’Umbria, ricostruisce l’accaduto: “Ieri sera, verso le 22, al Reparto Penale della Sezione 2° del carcere tre detenuti (un tunisino, un cubano e un francese) hanno incendiato un materasso e lenzuola. Quando l’Assistente capo di Polizia Penitenziaria di servizio se n’è accorto, si è recato sul posto e mentre ritornava al box per dare l’allarme con violenza è stato preso da dietro e scaraventato a terra. Nella caduta ha avuto la lucidità e la prontezza di lanciare le chiavi delle celle verso il box dove il Preposto le ha prese e immediatamente ha chiuso il box dando l’allarme. Il collega è stato preso dai detenuti e portato in fondo alla Sezione, con una lametta alla gola. Successivamente, dopo una trattativa di circa due ore a cui hanno presenziato anche direttore e comandante, si è riusciti a liberare il poliziotto penitenziario sequestrato, che è stato poi portato in ospedale e dal quale è uscito successivamente con una prognosi di 15 giorni per trauma cranico. Sembrerebbe che i motivi che hanno scaturito il sequestro erano motivi legati al lavoro e alla volontà degli stessi di partire da Perugia. Al collega sequestrato va tutta la solidarietà del SAPPE, ma questo è un evento gravissimo che non può rimanere senza conseguenze. Inutile evidenziare che questo ennesimo episodio di violenza ed aggressione nei confronti del personale non sono altro che le risultanze di quello che il Sappe ha denunciato da tempo, ossia una inesistente sicurezza sui posti di servizio detentivo ove i detenuti ormai la fanno da padrone. Infatti a nulla sono valse sino ad oggi le nostre denunce e le nostre azioni dirette alla nostra Amministrazione ed ad altre autorità e per questo è necessario che si provveda un immediato cambio circa la gestione delle carceri italiane, evidentemente troppo sproporzionata a danno della sicurezza interna”.
Solidarietà alla Polizia Penitenziaria di Capanne a Perugia arriva anche da Donato Capece, segretario generale del SAPPE, che evidenzia la tensione nelle carceri del Paese: “Serve subito un tavolo di confronto sulle criticità penitenziarie al Ministero della Giustizia. Non è ammissibile tutto quel che sta accadendo. La situazione nelle carceri si è notevolmente aggravata rispetto agli anni precedenti. I numeri riferiti agli eventi critici avvenuti tra le sbarre nel primo semestre del 2019 sono inquietanti: 5.205 atti di autolesionismo, 683 tentati suicidi, 4.389 colluttazioni, 569 ferimenti, 2 tentati omicidi. I decessi per cause naturali sono stati 49 ed i suicidi 22. Le evasioni sono state 5 da istituto, 23 da permessi premio, 6 da lavoro all’esterno, 10 da semilibertà, 18 da licenze concesse a internati. E la cosa grave è che questi numeri si sono concretizzati proprio quando sempre più carceri hanno introdotto la vigilanza dinamica ed il regime penitenziario ‘aperto’, ossia con i detenuti più ore al giorno liberi di girare per le Sezioni detentive con controlli sporadici ed occasionali della Polizia Penitenziaria”.
“Tutto questo non è più accettabile”, conclude il SAPPE. “Attiviamo subito un tavolo di confronto al Ministero della Giustizia perché si trovino adeguate strategie di contrasto a questi continui eventi critici e, soprattutto, adeguate risposte in termini di fermezza verso chi li commette, anche riaprendo (se fosse il caso) le carceri di Pianosa e dell’Asinara”.
Donato CAPECE – segretario generale SAPPE
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NOSTRO REPORTAGE SULLE CARCERI UMBRE
di Francesco Castellini – La prigione è diventata per alcuni detenuti un hotel confortevole e vantaggioso.
Sono sempre più lontani quei mondi “antichi” dove il condannato veniva sottoposto a restrizioni inaudite.
Negli ultimi anni molte cose sono cambiate, fino al punto che per certi versi si è arrivati al paradosso che in galera si sta meglio che fuori.
Vedi per esempio quei reclusi che svolgono compiti all’interno del carcere, che vengono lautamente ricompensati dallo Stato con “salari” che raggiungono anche i 1.300 euro al mese, vitto e alloggio ovviamente compreso.
E chi pensa che è brutto stare rinchiusi fra quattro mura, sappia che anche questo non è più del tutto vero. Da quando è stata introdotta la “vigilanza dinamica”, i detenuti, con le porte delle celle spalancate, hanno la possibilità per più ore al giorno di frequentarsi, girare per le varie sezioni, e dunque di aggregarsi per etnia e per bande, con poliziotti costretti dai regolamenti a muoversi all’interno disarmati.
E non è un caso allora che la scia di violenza e sangue che la cronaca registra negli ultimi tempi veda sempre più agenti rimanere vittime di violenze e aggressioni. In Umbria, poco tempo fa, nel carcere di Spoleto, un italiano del circuito penitenziario alta sicurezza all’improvviso e per futili motivi ha aggredito a pugni un assistente capo che è riuscito a limitare i danni grazie ad altri detenuti che hanno bloccato l’aggressore.
A Terni è successo che due carcerati, sottoposti al regime penitenziario del 41bis, quello più restrittivo, si sono scagliati a colpi di banane contro un poliziotto perché la frutta non era di loro gradimento, colpendolo anche con il manico di scopa.
Un atteggiamento spregiudicato inaccettabile e gravissimo. «Ancora una volta siamo costretti a dare notizia dell’ennesimo atto di violenza – riferisce in una nota Fabrizio Bonino, segretario nazionale dell’Umbria del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe – in una realtà dove l’emergenza è all’ordine del giorno e in cui il sistema regge ancora grazie al sacrificio e alla abnegazione delle donne e degli uomini in divisa della Polizia Penitenziaria».
Gli fa eco Donato Capece, segretario generale del Sappe, che a sua volta sottolinea come «nelle carceri umbre si contano sistematicamente atti di autolesionismo, tentati suicidi sventati in tempo dagli uomini della Penitenziaria, che intervengono per sedare colluttazioni, a rischio della vita e di ferimenti».
«E pensare che è solamente grazie a loro – continua Capece -, agli eroi silenziosi del quotidiano con il Basco Azzurro, a cui va il ringraziamento del Sappe per quello che fanno ogni giorno, se le carceri reggono alle costanti criticità penitenziarie. La situazione negli istituti di pena si è notevolmente aggravata. Basterebbe avere l’onesta di esaminare i dati sugli eventi critici accaduti nell’anno 2017. E la cosa che risulta evidente è che questi numeri si sono concretizzati proprio quando sempre più istituti hanno introdotto il regime penitenziario “aperto”, ossia con i detenuti più ore al giorno liberi di girare per le sezioni detentive con controlli sporadici ed occasionali della Polizia Penitenziaria».
Per il Sappe «inquieta l’atteggiamento assunto dai quegli “utenti” (ora il nuovo regolamento impone di chiamarli così), che pur essendo condannati ad un elevato indice di detenzione hanno libertà di azione e si comportano da arroganti e violenti, rendendosi responsabili di un atteggiamento che dovrebbe invece essere stigmatizzato e punito con estrema severità…».
Anche per questo il giudizio del Sappe sulla riforma dell’ordinamento penitenziario è sempre più critico: «I dati ci confermano che le aggressioni – che spessissimo vedono soccombere gli appartenenti al corpo di Polizia Penitenziaria, con sempre più contusi e feriti vittime di una parte di popolazione detenuta prepotente e destabilizzante – sono sintomo di una situazione allarmante, per risolvere la quale servono provvedimenti di tutela per gli agenti e di sicurezza per le strutture carcerarie, e certo non leggi che allarghino le maglie della sicurezza penitenziaria. Avere carceri meno affollate e più moderne non vuol certo dire aprire le porte delle celle, come pure prevedeva questa scellerata riforma penitenziaria!».
«Nelle carceri non comanda più lo Stato – è l’affermazione forte di Aldo Di Giacomo, segretario nazionale del Sindacato Polizia Penitenziaria SPP -. Ci sono detenuti che subiscono violenze fisiche e sessuali e ci sono alcuni detenuti con maggiore potere economico che vincolano gli altri. Noi poliziotti con 1.400 euro al mese siamo costretti a subire violenze ormai quotidiane. Negli ultimi 6 mesi la media mensile è di 28 poliziotti ricorsi alle cure mediche».
E di certo non giovano i tagli dell’organico, sanciti dal decreto Madìa del 2 ottobre 2017. Con un effetto paradossale: se prima di quella data in quasi tutti gli istituti si lamentava carenza di personale, oggi si è in esubero. Ma la verità è che dal 2001 si registrano oltre 5mila unità in meno, e adesso, proprio per effetto della legge Madìa, la Polizia Penitenziaria ha subito una drastica riduzione a livello nazionale, passando da 41.335 unità nel 2013 a 37.181 unità nel 2017. In questa situazione le assunzioni non coprono neppure i licenziamenti. In Umbria sarebbero necessari 1.002 poliziotti operativi, ne risultano invece solo 820. Ma per avere una visione integrale della condizione degli istituti di pena della regione bisogna rifarsi ai dati del Sappe, dove si sancisce: la capienza regolamentare è di 1.338, i detenuti presenti sono invece 1.370 (1.322 uomini e 48 donne).
Nel carcere di Perugia ci sono 374 reclusi di cui 79 imputati, 295 condannati e 244 stranieri. Praticamente i non italiani sono il 65,24% dei presenti.
Il carcere con il maggior numero di detenuti è Spoleto, che vede una presenza di 480 “utenti», di cui 53 imputati, 427 condannati e 94 stranieri (19,58%).
L’Istituto di pena di Terni contiene 430 detenuti; 133 imputati e 297 condannati. Il 25% sono stranieri (110 detenuti).
Ad Orvieto sono 86 i detenuti: 4 imputati, 82 condannati e 48 stranieri (il 55,81%). Il 2016 è stato un anno critico all’interno delle carceri umbre fra episodi di violenza, risse, tentati suicidi e ferimenti.
I dati mostrano come il maggior numero di episodi violenti, con 123 gesti di autolesionismo da parte dei detenuti, 15 tentati suicidi e 31 colluttazioni (di cui 16 feriti) è il carcere di Terni.
Anche Spoleto, vista la presenza di quasi 500 detenuti, ha fatto registrare 51 gesti autolesionisti, 5 tentati suicidi e 39 colluttazioni, ma nessun ferito. A Perugia 49 autolesionisti, 6 tentati suicidi, 24 collutazioni, 18 ferimenti, mentre ad Orvieto ci sono stati 10 episodi di autolesionismo, 10 colluttazioni e tre feriti.
E c’è poi da considerare l’Area penale esterna. Attualmente in Umbria ci sono 283 persone affidate in prova al servizio sociale, 22 in semilibertà, 64 agli arresti domiciliari, una persona in libertà controllata, 174 persone impiegate nei lavori di pubblica utilità e 21 al lavoro esterno. «Con questi numeri – spiega Capece – è sempre più difficile per il provveditorato dividere il numero di uomini per ciascun istituto (190 quelli in Italia)».
E il risultato è che non si sta tenendo conto di alcuni fattori, quali l’alta sicurezza, «con effetti negativi per quelle carceri dove vi è un maggior numero di detenuti sottoposti al 41 bis».
«Non accettiamo un così drastico taglio alle risorse umane, soprattutto dopo aver messo a conoscenza per anni il governo della gravosa situazione delle carceri sprovviste del personale necessario» – sottolinea Calogero Lo Presti, coordinatore regionale Fp Cgil, secondo cui «è una beffa nei confronti di lavoratrici e lavoratori». Oltre ai 625 posti di lavoro a rischio, si sottolinea un ulteriore aumento di lavoro e di responsabilità per chi resta, «che si concretizzerà in una crescita sproporzionata dello straordinario, tra l’altro non interamente retribuito, e una diminuzione della sicurezza sia per i poliziotti che per i detenuti».
E che le carceri italiane siano sull’orlo del collasso lo dimostrano anche altri dati, come quello sulla popolazione carceraria, che secondo la “capienza regolamentare”, dovrebbe essere di 50.511, ma al 30 novembre 2017, sono i dati ufficiali dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), il numero dei reclusi era di 58.115. Vale a dire 7.604 unità in più rispetto alla regola. “Il tasso di sovraffollamento – denuncia in un rapporto l’associazione Antigone – è al 113,2% e in alcune carceri si torna a scendere sotto lo spazio minimo previsto di 3 mq per detenuto”. Non solo, “nel 68% degli istituti da noi visitati ci sono celle senza doccia (come invece richiesto dall’art. 7 del Dpr 30 giugno 2000, n. 230), e solo in uno, a Lecce, e solo in alcune sezioni, è assicurata la separazione dei giovani adulti dagli adulti, come richiesto dall’art. 14 dell’Ordinamento penitenziario. Inoltre l’Italia è uno dei paesi dell’Unione Europea con il più basso numero di detenuti per agenti (in media 1,7), mentre ciò che manca sono gli educatori. A Busto Arsizio ce n’è uno ogni 196 detenuti e a Bologna uno ogni 139”.
Insomma ormai è chiaro a tutti che in queste condizioni il carcere, nato non solo come luogo detentivo e di pena, ma anche con l’intento di preparare il detenuto a una nuova vita, è ancora solo una lontana chimera e così com’è non può certo funzionare e dare un contributo al rispetto della legge e al senso di Giustizia.
(Articolo pubblicato sul periodico Umbria Settegiorni)