In questi tempi difficili l’Università per Stranieri di Perugia non può non rivolgersi al suo passato, per rielaborare e rafforzare un patrimonio di cultura e di umanità che ha fatto della nostra città un punto di incontro per quanti, nel mondo, credono alla concordia e alla civiltà. Il riferimento più immediato è per quello che va considerato il momento più buio della Stranieri, l’armistizio del 1943, con il conseguente scollamento del paese e l’innesco della guerra civile.
Come ha giustamente ricordato Leonardo Varasano nel suo studio L’Umbria in camicia nera (1922-1943) nel momento in cui avviene il passaggio di consegne tra i dissolto governo fascista e gli Alleati, la Stranieri “è un’istituzione prospera. Una gestione accorta permette continui avanzi di bilancio. Nel 1944 il rettore Lupattelli, caduto in disgrazia, lascia l’Università in ottime condizioni, avendo raggiunto un patrimonio di vari milioni, mobiliare e immobiliare, nonché un notevole fondo di tesoreria”.
In una lettera al Prefetto di Perugia, Lupattelli, il 30 settembre del ’44 poteva ribadire il raggiungimento dell’obiettivo per cui era nata la Stranieri, “far conoscere Perugia a tutto il mondo e amare e apprezzare l’Italia e la sua cultura da più di diecimila studiosi convenuti da tutto il mondo”.
L’insediamento di Aldo Capitini, l’apostolo della non-violenza e della resistenza al regime, al vertice dell’Università per Stranieri, con la nomina a Commissario straordinario, era il doveroso riconoscimento verso un filosofo che si era personalmente sacrificato per la coerenza alle sue convinzioni. Mazziniano, vicino alle posizioni socialiste, utopista in quanto a religione, era l’uomo su cui convergevano molti schieramenti politici dell’epoca. Nella sua profonda umanità Capitini non poteva non riconoscere a chi la Stranieri l’aveva fondata il merito di aver realizzato una utopia, la cui affermazione aveva solo riversato benefici effetti sulla città intera. Nel tentativo consapevole di riportare indietro le lancette dell’orologio della storia, in una lettera del 27 luglio di quel ’44, Capitini, su carta intestata della regia Università per Stranieri scriveva cavallerescamente “al Dott. Astorre Lupattelli, ex Rettore dell’Università per Stranieri”: “Nell’assumere oggi l’ufficio di Commissario straordinario dell’Università per Stranieri, il mio pensiero si volge a Lei che nel 1921 iniziò nella nostra città i Corsi estivi di Etruscologia e Francescanesimo, e che per decenni ha lavorato per questo Istituto. Con ossequio, AC”.
Il fatto che AC sia vergato a mano accresce il senso di rispetto di una sintetica missiva, per forza di cose asciutta e lapidaria. Sul quotidiano dell’epoca, il “Giornale dell’Umbria”, apparve il 23 gennaio del ’45 una intervista a Capitini nel suo ruolo di Commissario straordinario della Stranieri, in pratica il rettore. Ricordiamo che Capitini operava in ristrettezze, confinato in qualche stanza dell’ateneo per la convivenza con l’Army School of Education che l’VIII armata britannica aveva insediato a palazzo Gallenga. Nell’intervista, con molta chiarezza Capitini espone i problemi del presente ed enuclea strategie per un immediato futuro nella consapevolezza del ruolo insostituibile che la Stranieri ha nella vita culturale e nell’economia della città. “Spinti dal desiderio di conoscere le attuali condizioni dell’Università per Stranieri, espressione dell’alto senso di civismo e di attaccamento alla cultura dei cittadini di Perugia, perché, contrariamente a quanto si crede, per iniziativa di questi l’Università sorse e si sviluppò, ci siamo recati nel sontuoso palazzo di piazza Fortebraccio, dove l’attuale rettore, prof. Aldo Capitini si è messo a nostra disposizione per illustrarci le principali attività presenti e a venire di questo importante organo di cultura. Le dichiarazioni del prof. Capitini sono di massima importanza, perché mettono in luce il nuovo carattere e il nuovo orientamento impresso all’Università dopo il periodo della dominazione fascista che aveva portato, fra gli altri, questi due difetti che falsavano profondamente l’aspetto dell’Istituto: l’iscriversi e il prevalere dello spirito nazionalistico e l’insufficienza nei riguardi dell’alta cultura.
Vi si legge: “Abbiamo, a tale riguardo, rivolto domande al prof. Capitini e dalle sue dichiarazioni risulta chiara ed evidente la profonda trasformazione operata nei vari campi di attività dell’Istituto”.
Sa dirmi qualche cosa sull’attività del 1944?
Anche nel ’44, in mezzo a grandi eventi e a difficoltà che sono state le più gravi, l’Università Italiana per Stranieri ha continuato la sua vita. Le do subito la statistica delle lezioni dei tre trimestri, primaverile, estivo e autunnale. Corso Preparatorio: ore 112, insegnanti 1. Corso medio e superiore; ore 503, insegnanti 6, iscritti 56. Lezioni di Alta Cultura: ore 114, insegnanti 13, iscritti 177. A questa attività didattica è da aggiungere quella di propaganda esplicata in occasione di visite di personalità italiane e straniere, la diffusione di stampati, e, particolarmente, la stampa di un fascicolo di “Bollettino” della Università, con numerosissime testimonianze (nomi, dichiarazioni, lettere, citazioni di articoli pubblicati all’estero) dei rapporti di questo Istituto con la Gran Bretagna, Irlanda, Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda. A questa seguiranno altri fascicoli del Bollettino con le testimonianze dei rapporti con tutti i popoli del mondo. Poiché, come lei può vedere, da questo quadro, dal 1921 a tutto il ’43, sono venuti qui 11.622 studenti e fin dall’Honduras, dal Venezuela, dal Portorico, dall’India (85) dal Libano, dalla Liberia, dall’Iran (4), dall’Olanda (237), dall’Australia (33), dall’Egitto (121), dalla Francia (737), dalla Gran Bretagna (648), dagli Stati Uniti (822), dalla Svizzera (1097), dalla Polonia (252).
Quali sono stati gli studenti del 1944?
Naturalmente c’è una differenza tra gli studenti prima del 20 giugno, in maggioranza di nazionalità germanica, e dopo, in maggioranza di lingua inglese (americani, inglesi, palestinesi). Anche studiosi della città hanno frequentato assiduamente le lezioni di Alta Cultura: e questo è bene, perché l’Istituto conserva e accresce in questo modo il suo compito di eccezionale promotore di cultura nella nostra città, una specie di signorile Parnaso. I nostri concittadini devono tenere a questo istituto che è insieme così universale e così perugino, seguirne e favorirne lo sviluppo: anche perché, come lei può immaginare, vi sono altre città che ce lo vorrebbero togliere senz’altro.
Che cosa si può fare per evitare questo?
Principalmente questo. Primo: migliorare la sua struttura didattica. Secondo: dotarlo di mezzi adeguati, non solo per opera del Comune, della Provincia e del Consiglio dell’Economia, ma anche di altri enti della città e di privati cittadini. Terzo: accrescere le attività culturali della città. Quarto: migliorare l’attrezzatura alberghiera e promuovere (come sto facendo) l’istituzione di “colleges”, ognuno di una grande nazione del mondo, nei bellissimi dintorni della nostra città. Specifico che, quanto al primo punto, ho già stabilito due cattedre universitarie, di Storia della Letteratura Italiana e di Storia della Musica italiana. In seguito ne potranno sorgere altre. In più continueranno le consuete lezioni di Alta Cultura su argomenti vari, invitando via via i più importanti rappresentanti della cultura italiana. Quest’anno l’ostacolo difficilissimo è stato quello delle comunicazioni: tuttavia, oltre al resto, l’Università per Stranieri ha avuto l’onore di veder risalire sulla cattedra persone che ne erano state allontanate per motivi razziali e per mancato giuramento di fedeltà al fascismo, Attilio Momigliano ed Ernesto Bonaiuti.
Quale spirito anima questo lavoro di diffusione della cultura italiana?
Vede, bisogna innanzi tutto ristabilire una verità. Questo Istituto non ha avuto origine del fascismo, come molti credono e si è lasciato anche credere estero. L’inizio furono i corsi estivi organizzati dalla Commissione per la Amministrazione della Provincia di Perugia tenuti il 1921. Io li frequentavo e li ricordo benissimo: trattarono di Francescanesimo e di Etruscologia. Si capisce come poi si è inserito uno spirito nazionalistico. Ho cercato di togliere questo spirito e di sostituirlo con quello di una italianità aperta che non ha bisogno di sorreggere con l’ostentazione il contributo dato nei secoli e nei millenni alla civiltà del mondo.
. di Stefano Ragni