di AMAR – Di sicuro, il Vice Ministro alle Infrastrutture e Trasporti ha una memoria di ferro. Durante la sua recente visita al tribolato cantiere del tratto umbro della Terni – Rieti, ha detto: “Di questa strada sento parlare da sempre”. Non so quando lui sia stato iscritto all’anagrafe, però credo nato da poco quando si cominciò a parlare di costruire nel Centro Italia una arteria che avrebbe dovuto congiungere i due mari, il Tirreno e l’Adriatico, al nobile scopo di fare da trampolino di lancio per le economie delle regioni attraversate. Anch’io, signor Vice Ministro, ne ho sentito parlare da sempre. E da sempre – durante le ricorrenti e ripetute inaugurazioni d’ogni pezzo ultimato – mi è capitato di sentir ripetere che l’ultimazione dei lavori era dietro l’angolo. Invece, non era vero.
Ora però, l’autorevole rappresentante del Governo (mica del comunello di Cantalice) si è detto assolutamente certo che, entro dicembre corrente anno, la superstrada entrerà in esercizio tutta intera: come dire, la “chiesa della politica” ha proclamato il “miracolo”. I credenti si genuflettono. Hanno fede che, a tre mesi data, andranno a Rieti e ritorno in una quarantina di minuti. Verrebbe da scrivere: Alla buon’ora! Però, con un seguito di evviva, allegria, alleluia per aver calato il sipario sulla scena, a volte persino grottesca, di una telenovela più lunga e stucchevole del ricettario televisivo di Benedetta Parodi.
Anche se talune opportunità di sviluppo, per l’Umbria e per la Sabina, durante i 60 anni e passa di gestazione della Terni – Rieti, sono andate perdute, se useremo il sale in zucca, qualcuna da cogliere ce n’è ancora. Ce la offre la contiguità geografica, l’omogeneità dei territori, la complementarietà delle strutture economiche, delle risorse culturali, paesaggistiche ed artistiche. Di molti campi di attività ci sarebbe da scrivere. Ed ecco il solito problema della valorizzazione delle risorse. Che sono numerose e di pregio. Però, questa volta, con l’opera stradale terminata, vanno affrontate non in baldoria. Invece, seriamente, perché di progetti comuni ne sono stati sottoscritti più d’uno, salvo poi custodirli nei cassetti della burocrazia parolaia.
Un tentativo importante per dimostrare l’utilità della programmazione comune, lo fece Sandro Boccini, pubblicando l’Atlante Rieti – Terni, scritto a più mani e contenente alcune proposte avanzate da giovani studiosi locali. Nella presentazione – firmata da Filippo Micheli – è spiegato che si tratta di “una raccolta di analisi su diversi temi e contenuti … interessanti molteplici settori di attività delle due province, da sottoporre all’attenzione di quanti hanno a cuore la crescita economica dei territori e il mantenimento delle loro culture”. Il volume venne stampato a settembre 1993, quattro mesi dopo la morte dell’autore. Forse per questo non ebbe per intero l’effetto di smuovere l’ambiente politico solitamente distratto.
Mi sia consentito, a tal punto, riassumere, in estrema sintesi, ciò che durante i lunghi trascorsi sono andato scrivendo sull’argomento Terni – Rieti. Mi limito al turismo. Ci sono da mettere insieme patrimoni ambientali, paesaggistici, storici rilevanti. Per il turismo religioso, la Valle Santa reatina e l’Eremo francescano di Narni; per il turismo sanitario, le zone delle acque minerali di Sangemini, Acquasparta, S. Faustino, Fonte Cottorella e le sorgenti termali di Cotilia. Ma c’è dell’altro. Ci sono i laghi di Piediluco, con adiacente Cascata delle Marmore e quelli reatini e c’è soprattutto il Terminillo, una ricchezza sontuosa, semmai qualcuno volesse trarlo dalla caduta libera nella quale si è avvitato. Terminillo re della montagna e Carsulae regina dell’archeologia millenaria.
Insomma, di “gioielli” da esporre in vetrina ce ne sono a sufficienza. Ed anche i collegamenti con Roma a due passi (sia da Rieti, sia da Terni) e l’altra parte dell’Umbria che può offrire al visitatore, oltre a Perugia, anche Orvieto, Assisi, Todi, Gubbio, Spoleto, Cascia e una infinità di borghi, del tutto simili a quelli appollaiati sui colli della provincia Sabina. C’è solo da evitare che, fatta la strada, trovato l’inganno: cioè il perpetuarsi della separazione provocata, sino ad ora, dal provincialismo della politica e le negligenze amministrative. Come disse quel tale quasi un secolo fa, l’ora delle decisioni irrevocabili è giunta.
Sin qui il versante adriatico. Occhio pure all’altra sponda. Per collegarci al Tirreno, mancano soltanto pochi chilometri. Se consultiamo la cartina del cosiddetto Cantiere Italia che comprende le infrastrutture indicate come prioritarie dal Governo, una ne troviamo corta, corta che appena si vede. Però è strategica: si tratta del collegamento da Monteromano all’Aurelia e quindi al porto di Civitavecchia. Occorre vigilare e darsi da fare (Terni, Rieti e Perugia insieme) in quanto lo sbocco al mare da quella parte rappresenta una conquista di enorme interesse industriale.
Sin qui la buona nuova. Un’altra ce n’è di segno diverso. Ribadisce la validità del proverbio che, da alcuni punti di vista, sostiene tutto il mondo è paese. Nella fattispecie tutta l’Umbria è paese. Il titolo della notizia che ho letto, alcuni giorni fa, su un foglio solitamente informatore attendibile, è questa: In cinque anni, Perugia ha perso più di 1500 alberi. E Terni no? Quanti pini sono stati rasi al suolo durante lo stesso periodo, non ce lo hanno mai precisato; e neppure quante e dove sono le nuove piantumazioni. Però non è falso affermare che, messi insieme, i cari estinti avrebbero formato un bosco, almeno di medie dimensioni.
Per due città che si trovano quotidianamente a confronto con l’atmosfera malsana, ogni essenza arborea divelta rappresenta lutto al braccio. Sarebbe cosa buona e giusta, prima di mettere al lavoro il taglialegna, fare un doveroso esame di coscienza amministrativa sul tema della gestione del verde. A Terni, dove le industrie sono pesanti (ecologicamente), il traffico ci ha ridotto in stato d’assedio, le polveri sottili ammorbano l’aria, il rispetto del patrimonio d’alto fusto dovrebbe essere un dovere assoluto. Privilegiando la prevenzione e la cura avverso i drastici interventi del tipo taglia, taglia, taglia. Una codardia.