di Bruno Di Pilla – “Razzisti ed antisemiti non possono essere cristiani”. Con la consueta franchezza, in occasione del Santo Natale, Papa Francesco ha condannato ogni forma d’intolleranza, odio e disprezzo, purtroppo ancor oggi emergenti in alcune frange delle moderne società europee, ufficialmente affrancatesi dalle deliranti teorie aristocratiche ed imperialiste, se non addirittura eugenetiche, i cui precursori furono, nella seconda metà del XIX secolo, il francese Gobineau con il diabolico “Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane” ed il tedesco Chamberlain, alfiere e propugnatore del tragico mito dell’arianesimo pangermanista.
Dopo l’orrore della Shoah ed il massacro di zingari ed individui a vario titolo considerati inferiori, dal 1965 il provvidenziale Concilio Vaticano II ha cancellato secoli di privazioni di diritti, pogrom, ghetti, persecuzioni e violenze nei confronti di gruppi etnico-religiosi persino ritenuti dannosi per le sorti dell’umanità. Con i fratelli maggiori Ebrei, in particolare, si sono instaurate relazioni finalmente ispirate non solo a scambi ricchi di reciproca stima e crescita spirituale, ma anche a feconde ricerche delle comuni origini abramitiche e davidiche, sancìte, in forma solenne, dall’enciclica “Nostra aetate” di Giovanni XXIII. D’altronde, lo stesso cristianesimo è palesemente “figlio” del giudaismo, senza le cui radici neanche si potrebbe parlare di culti monoteistici, consistenti nell’adorazione dell’unico Creatore e Signore dell’universo, che scelse proprio il popolo ebraico di Mosè ed Aronne per cacciare, dalla mente dell’uomo, i falsi idoli ed i molteplici dèi antropomorfi, così manifestandosi, tramite Gesù Cristo ed i suoi 12 Apostoli – tutti israeliti – alle genti sparse in ogni angolo della Terra.
Per rafforzare l’indissolubile legame dei cristiani con il popolo eletto, basterebbe approfondire il significato del “Magnificat” della Vergine Madre e del “Benedictus” di Zaccaria, padre di Giovanni Battista, splendidi inni all’infinita misericordia del Santo d’Israele, Padre geloso di ogni sua creatura e di tutte le cose, visibili e non. Mai l’uomo dovrebbe inoltre dimenticare, per la sua stessa felicità, i Dieci Comandamenti consegnati sul monte Sinai a Mosè. Se li tenessimo a mente e ne osservassimo il contenuto, del resto “inciso” nel nostro stesso dna, vivremmo tutti meglio, nel rispetto della sacralità di ogni persona e con la pace nel cuore.