Di Adriano Marinensi – Possiamo affermare che la recente campagna elettorale sia stata occasione per un articolato dibattito tra elettori ed eletti? Forse non è stato così. Più che confronto delle idee politiche, mi è parso che, in molti partiti, sia prevalsa la rincorsa alle promesse, le più allettanti possibili a fare da esca alla pesca del voto. Promesse quasi sempre semplici bugie vestite con l’abito da sera. Non è cosa buona, soprattutto quando chi promette sa, fin dal principio, che gli impegni assunti, difficilmente potranno essere rispettati.
Una vicenda elettorale che si chiude, merita – come si suol dire, a bocce ferme – qualche considerazione a margine su alcuni aspetti reconditi e qualche significato palese. Altra domanda è: di quella appena trascorsa, cosa resta e cosa è degno di restare? Al netto di ciò del quale “si è fatto inutile sacramento”, restano gli umori ondivaghi dell’elettorato, le solite ansie dei candidati, gli assensi e i dissensi, talvolta espressi con poca riflessione, il pericolo di demolizione riferito a taluni principi di solidarietà, civile e culturale, unito al repentaglio che pesa sul nostro Paese a livello europeo e mondiale. Guardando un aspetto marginale, si è notato un calo vistoso della “battaglia dei manifesti”, tanto da mostrare vuoti molti degli spazi assegnati ai partiti. Non sono mancate invece le strategie di taluni “attori”, agitatisi sopra il palcoscenico dove hanno spesso recitato a soggetto, con gli schermi televisivi a magnificare l’apparire al posto dell’essere, nella ormai consueta, folcloristica esaltazione dell’immagine e degli effetti speciali.
Poi però, viene il domani che dovrebbe vedere le cose dette e fatte, perché l’etica e la deontologia politica lo impongono. Il domani che richiede – presto e bene – la messa in atto di una autorevole cultura di governo che spinga in alto il prestigio delle Istituzioni, che sappia realizzare programmi univoci, evitando “matrimoni” innaturali per chiudere in gabbia il “gattopardo”. Un domani che sappia ridurre i pessimismi e le contraddizioni presenti nel tessuto sociale ed hanno generato presenze alle urne di irriflessiva protesta. La democrazia esige presa di coscienza ed alto senso di responsabilità nel popolo che vota. Soprattutto al popolo giovane che vota per la prima volta, operando scelte destinate ad orientare la propria fede politica. Non si è di certo esaurita la spinta al disimpegno, in quanto il “partito dell’astensione” è ancora troppo influente nella consistenza della delega democratica.
In Umbria, come altrove, il quadro politico è radicalmente mutato e si prospetta un ampio “deragliamento della storia”. Appaiono sconvolti gli schemi e gli equilibri che sembravano resistenti ad oltranza. C’è stato, nella nostra regione, così come nel Paese, un mutamento di rotta conseguente alla dissoluzione di orientamenti riformisti, forse divenuti autoreferenziali e troppo statici per meritare credibilità e consenso. Per le forze del centrosinistra, riguadagnare campo, nel breve – medio termine, sarà impresa difficile. Nel frattempo, il testimone rischia di passare di mano, così come di mano è passato in campo nazionale.
Nel luglio scorso, all’indomani delle elezioni amministrative 2017, su queste colonne, ho scritto una breve e modesta riflessione che aveva questo titolo: “Se le roccaforti (di sinistra) cadono, la resa è vicina”. Sottotitolo: “L’Umbria potrebbe essere uno dei prossimi esempi”. D’altro canto, Perugia è già transitata su altra sponda e Terni mostra i presupposti per uguale traghettamento. In quell’articolo ho aggiunto: “Così, per l’ex regione rossa, il paradigma della sconfitta sarà completato. A Terni, la vecchia classe dirigente si presenta ancora frenata da organigrammi mentali obsoleti, propri di nomenclature culturali appartenenti al passato remoto”. Mi sono permesso di sostenere: “Se, democraticamente, realtà urbane ad economia industriale, da sempre governate dalle forze di sinistra – due esempi bastato: Pistoia e Sesto S. Giovanni – passano al “nemico”, potrebbe significare che il fallimento è dietro l’angolo”. Avrei voluto essere un pessimo profeta. Invece no. Sono prevalsi i politici che parlano male della politica. Capipopolo che non hanno avuto alcuno scrupolo nel depotenziare il senso di comunità, nella rincorsa al consenso sollecitato agitando il vessillo sterile della contestazione irrazionale. Persino incoerente rispetto ai valori della libera scelta popolare.
Quando ciò accade, riprendono vigore i rigurgiti nostalgici, insieme alle espressioni più attardate della conservazione e del benpensantismo retrivo, poco dotato di valori sociali e di solidarietà. Questo avvenire politico finirà di sicuro per mettere in discussione le riforme realizzate nel recente periodo, che hanno fatto da base di rilancio all’economia del Paese e della sua dimensione internazionale. Fare un passo indietro sulla strada intrapresa ci esporrebbe all’assalto di quei poteri internazionali, permanentemente impegnati ad agitare i mercati per cogliere ogni occasione di tornaconto. L’Italia non merita questa nuova avventura.