di Bruno Di Pilla – Mentre sembra imminente l’adozione, sul modello cinese, di un generalizzato monitoraggio tecnologico di spostamenti e contatti dei cittadini italiani, che ne limiterà, pro-tempore e per finalità sanitarie, la libertà personale prevista dall’art. 13 della Costituzione, s’infiamma la polemica politica sul MES. Spagna e Portogallo hanno già detto sì agli aiuti del fondo salva-Stati, mentre l’Italia non ha ancora deciso se accettare il prestito di circa 36 miliardi che le spetterebbe senz’alcuna condizione e con restituzione a lunghissimo tempo, 40 anni, sempre che i soldi vengano impiegati esclusivamente per combattere l’epidemia.
Stamane, sulle colonne del “Giornale”, Silvio Berlusconi esorta il Governo a non rifiutare la somma, mentre Matteo Salvini è convinto che il nostro Paese, malgrado le apparenze, verrebbe comunque assoggettato a sacrifici e ferrei controlli da parte del triumvirato BCE, FMI, Commissione Europea.
Per parte sua, il ministro Roberto Gualtieri ha ieri sera assicurato che l’Esecutivo è più che mai impegnato, a Bruxelles, nel percorrere vie alternative e di maggiore consistenza economica. In particolare si punta ad ottenere il consenso degli altri 18 ministri dell’ECOFIN sul varo degli auspicati titoli comuni di debito, alias eurobond, nonché sui cospicui finanziamenti del cosiddetto “Recovery Fund”, una specie di nuovo Piano Marshall finalizzato alla rinascita del Vecchio Continente ed alla rivitalizzazione di tutte le imprese europee. “Lasciateci lavorare – ha affermato Gualtieri – e vedrete che, in breve tempo, l’Italia riuscirà a convincere i Paesi dell’eurogruppo ancora esitanti. D’altronde – ha concluso – già 16 Stati su 18 sono schierati sul nostro stesso versante”.
Anche la BCE e la BEI sono concordi nell’avallare le istanze di Conte e Gualtieri. Seguendo l’esempio del predecessore Mario Draghi, Christine Lagarde ha già rastrellato 6 miliardi di BTP e titoli pubblici nazionali, mentre la Banca Europea degli Investimenti, filiale dell’Istituto di Francoforte, ha stanziato 200 miliardi, 100 per “tonificare” le imprese, 100 per la cassa integrazione dei lavoratori attualmente disoccupati. A conti fatti e nonostante qualche ritardo, non si può dire che l’Unione Europea sia rimasta insensibile di fronte agli sconquassi provocati dalla pandemia.