di Adriano Marinensi – C’è un quadro, un po’ bizzarro, del pittore ternano Felice Fatati, disegnato alla sua arguta maniera, che mostra una scarpa alquanto scalcagnata ed un piede malridotto.
Sotto, l’eclettico artista ha “graffiato” un aforisma, che è pure una riflessione Disse alla scarpa il piede (e so ben io perché), non io ti sciupo o scarpa, sei tu che sciupi me. Ossia l’anima all’uomo. La “considerazione” non è recente, però saggia e lapidaria. Riassume il senso della vita, con l’essenza interiore dell’uomo che reclama, seppure con garbo, per l’aggressione subita da parte dell’esteriore, del visibile, di ciò ch’è futile e caduco. Mentre l’anima immortale viene negletta, quasi fosse un “accessorio” del corpo e della materialità. Anche i negatori dell’anima, io penso, siano coinvolti nella meditazione intorno al destino dell’uomo e dell’umanità nell’era della rincorsa al benessere, ad ogni e qualsiasi costo. L’uomo che polarizza lo sguardo più verso i problemi della scarpa e molto meno verso quelli del piede. Ne deriva la ricerca del piacere concreto a danno della riflessione e del pensiero. La scarpa sta al piede, come il cervello all’intelligenza. Se maltrattiamo i valori del contenuto, prevalgono gli istinti del contenitore, mentre la “missione” dell’uomo, del cittadino finisce per diventare marginale allo sviluppo culturale della comunità.
Occorre allora ritrovare il primato del pensiero, libero e costruttivo, del quale si nutre la democrazia. Quale democrazia? Quella che si articola, in modo armonico e dentro la quale ogni persona diventa soggetto di diritti, ma anche di doveri; soggetto partecipe, seppure in vario modo, dell’emancipazione collettiva; soggetto responsabile dello sviluppo civile e coinvolto nella formazione delle scelte; soggetto portatore di utilità generale nel confronto politico costruttivo e non antagonista. L’uomo democratico è questo e, certamente, molto altro. Messo in tal modo l’assunto, la domanda è : “La discoteca e la movida come contribuiscono ad accompagnare i giovani sulla strada della crescita culturale e democratica? La vita – da giovane – ti pone ai piedi di una piramide (la piramide di Edvard Munch) e spesso ti costringe a salire con fatica, per conquistare la vetta o, quanto meno, per non fermarsi lungo lo stretto sentiero che alla cima conduce. E’ in quella fase dell’esistenza che il giovane ha bisogno di cementare i supporti necessari ad intraprendere un cammino autorevole per alcuni, dignitoso per molti altri. L’intelligenza e la sensibilità sociale sono tra quei “supporti”. Nessuno qui venga a sostenere (occorrerebbe sfrontatezza) che la discoteca e la movida siano occasioni di maturazione sociale. Per frequentarle, l’intelligenza e il pensiero non servono. In discoteca, durante il tempo vuoto delle notti insonni, a “consigliarti” che sarebbe meglio farne a meno, sono la musica trabordante e l’illuminazione schizofrenica. E, fuori la porta, gli spacciatori di droga.
Le altrettanto vuote e insonni notti bianche della movida, trovano nell’alcol, nella birra e nel disordine urbano gli ingredienti naturali, dei quali interi quartieri, oltre ai troppi ragazzi partecipanti (e appena, appena pensanti), vorrebbero (i quartieri) e dovrebbero (i ragazzi) ugualmente fare a meno. Non fosse altro per non dare sostegno a chi cerca di contrabbandare palesi operazioni commerciali, per momenti di incontro e di socializzazione. Si è ripetuto oltremisura che la democrazia e la comunità civile, per crescere, hanno bisogno dei giovani, del loro apporto costruttivo. Se però i giovani li mandiamo a cercare la “cultura sociale”, indispensabile per dare contenuto alle idee, all’ impegno politico, in discoteca o alla movida, potremmo essere tacciati di alto tradimento, perché, in tali luoghi, troveranno soltanto cattivi maestri e pessimi esempi. Purtroppo, sono molti i “traditori”, per un verso negligenti, per l’altro conniventi. Messi insieme, spingono fuori strada il futuro di parte essenziale delle nuove generazioni. Eccola allora, un’altra domanda. Qualcuno la potrebbe considerare di “seconda fascia” rispetto al tema in oggetto. Io la pongo lo stesso, come inciso : Che fine ha fatto, in Umbria, la partecipazione popolare ? Il riferimento riguarda il “principio democratico” sancito, dalle nostre parti, in una delle primissime leggi approvate dal Consiglio regionale, cioè la n. 4 del 10.7.1972. Stabiliva “strumenti e metodi di consultazione” per garantire l’ innovativo diritto – dovere dei cittadini. Era quello il tempo delle grandi speranze, diventate poi illusioni. Sono trascorsi oltre 40 anni e sulla fronte del “regionalismo rivoluzionario” sono comparse le profonde rughe della vecchiaia.
Lo abbiamo fatto avvizzire, insieme alla partecipazione. Anche in Umbria, ha vinto la “controriforma” della retorica politica e della burocrazia pletorica. Così s’è approfondito il gap tra il Palazzo e l’Agorà. E’ rimasta in piedi una sorta di conservatorismo mediocre, ereditato da vecchi metodi di gestione del potere. Ho letto, solo di recente, un articolo del prof. Franco Ferrarotti. Si intitola proprio “Il piede e la scarpa”. Il suo argomentare riguarda le leggi e la Costituzione che – afferma – “non hanno senso se distaccate dalla vita reale del Paese”. Affronta le contraddizioni della politica del suo tempo (non molto diverse da oggi, n.d.r.), augurandosi che “maturino sino a scoppiare”. Così conclude : “Forse allora cadrà il sottile velo di Maya della finzione giuridica. Si capirà che il piede è più importante della scarpa”. Dunque, è più importante il piede a qualunque attività umana si voglia attribuire il paragone. Sperando che questa non resti, ancora a lungo, una semplice utopia. Lo Stato democratico, per almeno sopravvivere, necessita del fattivo contributo di cittadini coscienti del proprio ruolo. La discoteca e la movida stimolano disimpegno e assenteismo, oltre a scompiglio intellettuale. Invece, il messaggio da indirizzare ai giovani dev’essere di tutt’altro livello, al fine di stimolare nell’animo loro l’amore e il rispetto per i veri valori della libertà. Così che il piede non debba più dire alla scarpa ciò che Felice Fatati ha argutamente scritto in quel suo quadro appeso nell’ingresso di casa mia.