di Adriano Marinensi – Saremo il Paese europeo campione nel salto in alto del debito pubblico; ora però siamo i migliori nel gioco del calcio. Primi tra i 27 della U. E.; un po’ di più, visto che l’Inghilterra – battuta ieri sera in casa sua – non ne fa più parte. Il pallone ci è venuto in soccorso, creando quel tipo di entusiasmo sociale che fa da panacea e i mali quantomeno li nasconde. Dopo aver alzato la prestigiosa Coppa, Capitan Chiellini ha detto al microfono: “Sentivamo che c’era nell’aria qualcosa di magico”. Gli azzurri hanno fatto la magia. Non eravamo i favoriti, ma l’ardimento, il coraggio e pure un po’ di classe ci hanno portato verso la vetta. Ci siamo messi alle spalle “pretendenti” di razza come la Spagna, la Francia (Campione del mondo in carica), la Germania, il Belgio, il Portogallo, l’Olanda, la Russia. Insomma, (l’impresa) l’abbiamo fatta grossa.
Così come facemmo nel decennio favoloso (1930 – 1940) quando vincemmo, sempre nel calcio, due Campionati mondiali (1934 – 1938), con il mitico Vittorio Pozzo e le sue 30 partite senza sconfitte; record superato proprio in questi giorni da Roberto Mancini. Conquistammo pure due Coppe internazionali (1930 – 1935) e l’oro olimpico nel 1936, quando Jesse Owens, con le 4 medaglie d’oro, conquistate proprio in casa di Hitler, mise in pessima luce gli atleti di razza ariana. Senza dimenticare la squadra del Bologna che, nel 1932 e 1934, primeggiò nella Coppa dell’Europa centrale per compagini di club. In Italia, fu il tempo durante il quale i successi sportivi fornivano appetitose occasioni per farsi fotografare in maschio atteggiamento e il braccio fieramente alzato. Lo sport usato come strumento di promozione politica e tutto si faceva (lo cantavamo in una canzonetta) “per Benito Mussolini, eia, eia, alalà”.
Sulla maglia azzurra ci sono quattro stellette, perché di mondiali ne abbiamo vinti altri due: nel 1982, a Madrid, con Enzo Bearzot e la sua pipa alla Pertini. Il Pertini, Presidente della Repubblica, che, per la gioia della vittoria, quasi cadde dalla tribuna. Riuscimmo ad eliminare corazzate quali Argentina e Brasile ed a prevalere, in finale, sulla Germania (3 a 1). Ultimo successo nel 2006, sulla Francia (5 a 3 ai calci di rigore). E con le note di colore rimaste in memoria: la “capocciata” di Zidane a Materazzi che costò al capitano transalpino l’espulsione e il grido frenetico del telecronista Marco Civoli, al triplice fischio conclusivo: Il cielo è azzurro sopra Berlino!
Forse il torneo attuale, limitato alle nazionali europee, varrà qualcosa meno di un mondiale, ma il calcio è lo sport popolare che più di tutti infiamma le passioni. Quindi, è l’ora di premiare degnamente gli azzurri, con una festa in grande allegria. Attenzione però agli eccessi ed ai pericolosi assembramenti. Il virus ci guarda! Stavo per dimenticare l’ impresa, compiuta, lo stesso giorno, dal nostro Matteo Berrettini, che seppure battuto in finale, è riuscito a raggiungere, in una delle “cattedrali” del tennis mondiale, il traguardo che fa di un atleta un campione assoluto.
Godiamoci il successo calcistico, senza dimenticare gli affanni e le magagne di quanto ruota intorno al pallone. Il “versante” del football non giocato continua ad essere alquanto scivoloso. Il calcio mercantile per intenderci (attualmente imperversa) che resta imperterrito a parlare di cifre a sei e più zeri. Vi convivono una pletora di società indebitate sino al collo e continuano ad elargire sontuosi appannaggi e privilegi, come se niente fosse. Una particolare attenzione meritano i signori Procuratori che maneggiano destini e quattrini, sopra e sotto il banco, con palese disinvoltura. Tutto questo in contrasto morale con quanto accaduto in tempo di emergenza sanitaria ed al pesante impatto socio – economico tradotto in disagio per milioni di famiglie.
C’è persino chi mette in scena colpi di teatro: per esempio, l’ingaggio spettacolare del number one degli strateghi (che ha un nomignolo uguale al muggito della vacca), tramite garanzia di munifica remunerazione (più bonus), villa di prestigio in zona VIP, servitù compresa. E attorno un codazzo di seguaci deliranti di giubilo, in tanti impossibilitati nel conciliare il pranzo con la cena. E’ un esempio, ma non il solo: ci sono pure i calciatori d’oro. Purtroppo esiste questa parte del calcio che male si concilia con la gloria sportiva. Non voglio fare retorica inutile, però non posso dimenticare le mie passioni giovanili, tributate in antico ad una squadra – la Ternana, amarcord – dove militavano allenatori ed atleti compensati con un posto di lavoro all’Acciaieria. Si, è vero, io sono un passato remoto e non chiedo manco scusa.
Ora – come usano dire i lettori dei T. G. – voltiamo pagina. Per iniziare da una constatazione: in gran parte della natura, le foglie cadono d’autunno. In Italia, sovente le accuse degli inquirenti cadono ad ogni stagione dell’anno. Quasi che anch’esse fossero un fatto naturale. Invece, sono episodi di giustizia deviata, che offendono la cultura del diritto e i valori delle libertà costituzionali. Da anni, la politica “gracida” di riforme radicali, di nodi fondamentali da sciogliere, di guarentigie più ugualitarie. Poi, ogni volta, arriva il Gattopardo delle resistenze di categoria, concede mini aggiustamenti in modo che il rimanente … rimanga tale e quale. Ha affermato, giorni fa, il Vice Presidente del C.S.M. parlando ad un Congresso: “Il dominus del processo è il Giudice, non il P.M. Il compito dell’accusa – ha aggiunto – è fare indagini e raccogliere prove a carico ed a favore dell’imputato” (dovere quest’ultimo, che, a dire il vero, raramente emerge n.d.a.). Si tratta di un principio fondamentale che equivale ad un valore. E potrebbe attenuare la strage degli innocenti.
Nel nostro Paese esiste addirittura una Associazione errori giudiziari che affronta il problema pure in termini statistici. Ha documentato così i numeri della vergogna: durante il periodo dal 1991 al 2020, i casi di errore giudiziario sono stati quasi 30.000, con 1000 persone, in media ogni anno, messe in galera abusivamente. Un bilancio pesante in termini di rispetto umano e non lieve per le casse dello Stato che si aggira intorno agli 870 milioni di euro, spesi per risarcire le vittime.
E’ esplosa, di recente, a seguito di una sentenza assolutoria della Cassazione, la vicenda legata all’accusa (infamante) di mafia rivolta alla Capitale d’Italia. Accusa falsa che ha denigrato Roma in mezzo mondo (e adesso vagli a dire che non era vero!). Il danno morale e di immagine è incalcolabile e di tanto danno nessuno è chiamato a rispondere. Così si è fatto vilipendio anche alla cultura del diritto. E’ una esigenza di civiltà non solo giuridica fissare regole che riducano gli errori giudiziari (vedi il caso del Sindaco di Terni, prima arrestato, poi assolto in Tribunale), entro i ristretti limiti, adducibili alla fallibilità umana. Sanzionando la vanagloria, il protagonismo indebito e gli eccessi di potere.