Ha interessato anche l’Umbria l’indagine denominata “Nero Wolf” dal nome di un cagnolino condotta dai carabinieri forestali di Cuneo. L’indagine era partita un anno fa a seguito a diverse denunce di acquirenti che lamentavano cattive condizioni di salute dei cuccioli. Grazie alle intercettazioni telefoniche ed ambientali, i militari sono risaliti a D. M., 50 anni, di Gorizia, con allevamento in Ungheria e contatti con pseudo fornitori in Spagna, Grecia, Polonia e altri Paesi europei. E’ stato così scoperto che cuccioli di razza venivano venduti a metà prezzo, con annunci online, e spacciati come nati in allevamenti italiani quando in realtà arrivavano dall’Ungheria e altri Paesi dell’Est, spesso malati e in condizioni di salute precarie. Si trattava di un traffico internazionale clandestino con un giro d’affari di 20 mila euro al mese, e che secondo la Procura di Cuneo rientra nell’associazione a delinquere: quindici gli indagati, tra cui un allevatore trentottenne e una veterinaria con attività nel Cuneese.
Il primo sarebbe andato più volte in Ungheria per reperire cagnolini da rivendere a negozi o acquirenti privati, ed è accusato anche di usurpazione di professione medico veterinaria perché avrebbe somministrato direttamente i vaccini e i microchip. La donna l’avrebbe aiutato, firmando false dichiarazioni di nascita dei cani e fornendogli anche vaccini e microchip per gli animali. Il “giro” si svolgeva così: appena ordinate sul web, i cuccioli (in tenerissima età, al di sotto delle 12 settimane previste dalle norme) venivano nascosti nei bagagliai delle auto per affrontare un lungo viaggio verso le regioni di tutto il Nord Italia, Toscana, Lazio, Umbria e Puglia. Arrivati in Italia, privi di documentazioni di accompagnamento e dei trattamenti sanitari, i cuccioli venivano vaccinati con metodi «fai da te», grazie a veterinari compiacenti (uno di questi è di Lecce). Seguiva la loro «italianizzazione», con falsi libretti sanitari e l’inserimento di microchip come se fossero nati in allevamenti della Penisola. Infine, la vendita, a prezzi da 500 a 700 euro, fornendo ai clienti falsi nomi di riferimento, false foto degli animali, false partite iva, false indicazioni su razza e telefoni intestati a terzi. I venditori, inoltre, facevano sempre credere di essere lontani dagli acquirenti, evitando qualsiasi visita preliminare ai cuccioli, anche per chiedere ulteriori spese di trasporto a domicilio o in luoghi concordati con un servizio «taxi-dog» a 50-70 euro. Tra le altre ipotesi di reato, auto riciclaggio, esercizio abusivo della professione medico-veterinaria, sostituzione di persona per sfuggire ai controlli, e falsificazione di documenti.