Di Adriano Marinensi – A giudicare dalla foto apparsa giorni fa su un quotidiano di carta, che ritrae “un raduno di nostalgici a Predappio”, le marionette atteggiate nel saluto romano paiono nate dopo l’era fascista. E, di sicuro, abbastanza giovani saranno i gestori della cosiddetta “spiaggia fascista” di Chioggia. Rientrano tutti nella genia invitata da Matteo Renzi a “studiare la storia”. Caro Matteo, loro la storia l’hanno studiata, però – per carenza d’intelletto – non sono riusciti a capirla.
Somigliano agli autori di una vicenda grottesca accaduta una settantina d’anni orsono, nell’aprile 1946, e che ha il recondito principio un anno prima, nel distributore di benzina di Piazzale Loreto, a Milano, dove furono esposti al vilipendio i fascisti fucilati a Dongo. Ferruccio Parri, uno dei capi autorevoli della Resistenza, l’evento lo definì “macelleria messicana”. Comunque un simulacro blasfemo, sia cattolico, sia laico. L’ultima settimana di aprile e la prima di maggio del 1945 fornirono numerose date per gli annali. L’uccisione del duce (28 aprile), il suicidio di Hitler nel bunker di Berlino (30 aprile), la firma di resa delle truppe tedesche in Italia (4 maggio), la sottoscrizione dell’atto della capitolazione dei nazisti in tutta l’Europa (8 maggio).
La guerra era finita, ma soprattutto per milioni di tedeschi iniziò un penoso calvario. Per gli oltre 10 milioni di prigionieri che era impossibile sfamare adeguatamente, per le migliaia di bambini nati (sembra quasi 200.000) dagli stupri dei soldati sovietici sulle “fraulein” in Germania, per i tanti altri fanciulli alla vana ricerca delle loro famiglie, per i tantissimi orfani ai quali la guerra aveva ucciso entrambi i genitori. A subire pesanti ritorsioni furono anche le minoranze tedesche presenti nei Paesi dell’est: cacciate dalle loro case, private d’ogni avere, dovettero oltrepassare i confini.
Torniamo alla vicenda Mussolini. Era stato scoperto dai partigiani, a bordo di un camion che seguiva l’autocolonna nazista, autorizzata a fuggire in Svizzera. Il 28 aprile lo avevano fucilato, a Giulino di Mezzegra, insieme a Claretta Petacci, entrambi poi trasportati a Milano con tutti gli altri gerarchi, sommariamente giustiziati. Quando l’orrida rappresentazione della morte ha termine, il carnaio viene trasferito all’obitorio, il cadavere del duce sottoposto ad autopsia e parte del cervello inviata, per essere sottoposta ad esame, negli Stati Uniti. Subito dopo, lo seppelliscono nel Camposanto milanese di Musocco. Nei documenti cimiteriali, la tumulazione risulta stranamente registrata il 2 agosto. E’ il primo dei misteri che accompagneranno la salma durante la lunga peregrinazione. Si suol dire che “oltre tomba non va l’ira nemica”. Invece la tomba del capo del fascismo comincia a subire oltraggi, dettati dall’odio e dal risentimento politico. Il sepolto era stato l’artefice delle disgrazie italiane e dimenticare sembrava difficile.
In tempo d’allora, tra i nostalgici del regime, uno ce n’è ancora più nostalgico. Si chiama Domenico Leccisi, fondatore di un fantomatico Partito democratico fascista (diventerà Deputato del M.S.I.). Si fa venire in testa una idea alquanto balzana: trafugare il corpo del suo “santo”, per sottrarlo ai ripetuti insulti. Durante la notte tra il 22 e il 23 aprile 1946, in concorso con altri, penetra nel Cimitero di Musocco e provvede alla esumazione. Non è certo impresa facile, ad un anno dalla sepoltura. Comunque, il cadavere, avvolto in un telo nero, lo caricano dentro una carriola e poi nel portabagagli di una Lancia Aprilia che parte subito in direzione di Madesimo, un piccolo centro di montagna, in provincia di Sondrio. Il “fagotto” viene nascosto nella baita di un altro dei fondatori del P.D.F., tale Mauro Rana. Intanto, manco il tempo di scoprire l’incredibile furto di cadavere, che scatta una gigantesca operazione di recupero. Il Ministro dell’Interno Giuseppe Romita fa scendere in campo i migliori segugi. Il colpo è proprio gobbo e quindi l’opinione pubblica s’appassiona. Il cadavere illustre diventa un fantasma che aleggia in diversi luoghi e non si trova in nessuno. Si ricorre persino a qualche seduta spiritica per chiedere all’anima del trapassato dove è sotterrato il suo corpo. Nessuna risposta. Sono celebrate messe propiziatrici del ritrovamento. E perquisiti una infinità di località “sensibili”, compresa una nave partita dal porto di Genova.
In siffatto clima da caccia alle streghe, Domenico Leccisi non ritiene più sicuro il nascondiglio di Madesimo, si riprende Benito e lo riporta a Milano. Nella Cappella di S. Matteo, ci sono un paio di frati che, forse con qualche costrizione di troppo, si assumono il compito di custodi. Però, quando il 31 luglio 1946, Leccisi viene arrestato, i due Abati si mettono paura e, in cambio dell’immunità, restituiscono il maltolto che scotta, alle autorità costituite. Della presa in carico si occupa il Questore pro tempore di Milano Vincenzo Agnesina che, da tale momento in avanti, diventerà un attore importante della tragicommedia. Per di più, si tratta del medesimo Agnesina che, il 25 aprile del 1943 – dopo la notte dei lunghi coltelli, dell’O.d.G Grandi, della caduta del fascismo – fu incaricato di “proteggere” Mussolini, fatto arrestare dal Re. Ora se lo ritrova tra le mani in una veste diversa, alquanto imbarazzante. Vorrebbe subito collocarlo adeguatamente; non ci riesce e allora se lo porta in Questura in attesa di disposizioni superiori. Il 12 agosto, le spoglie ingombranti vengono traslate nel Convento dei Cappuccini di Cerro Maggiore, vicino Legnano.
Mentre i Padri conventuali continuano a montare la guardia al “milite noto”, facciamo un salto in avanti. Il 14 novembre 1949, il Segretario del MSI Giorgio Almirante presenta una interrogazione “per conoscere i motivi che inducono il Governo a tenere celato, persino ai familiari, il luogo di sepoltura di Mussolini”. Risponde Mario Scelba che il luogo non è segreto e che “l’intento è quello di non creare occasioni di manifestazioni politiche”, con pericoli per l’ordine pubblico.
Ancora un passo lungo qualche anno. Siamo nel maggio 1957, alla guida del Governo italiano troviamo Adone Zoli, democristiano, antifascista e predappiese. All’atto della fiducia in Parlamento, si salva per un pelo. E per un voto, nientemeno del Deputato, passato dal MSI al Gruppo Misto, Domenico Leccisi (il destino a volte fa scherzi da prete). Pare che il costo di quel SI, abbastanza sghembo, sia stata la promessa di “liberazione” del corpo di Mussolini. Fatto sta che, il 29 agosto 1957, la salma illustre, accompagnata dal solito Agnesina, compie l’ultima tappa nel Cimitero di Predappio. Ad accogliere Benito la vedova e i figli viventi, per l’estremo saluto. E la prece perché finalmente riposi in pace. La pietà umana gli aveva concesso il conforto dell’estrema dimora, in un posto santo. Scrisse Romano Mussolini: “Il prof. Cazzaniga (uno degli accompagnatori, n.d.a.) appariva particolarmente turbato ed a ragione: nel recipiente di vetro che teneva con se, si trovava il cervello di mio padre”. Quel giorno, a Predappio, s’era chiuso veramente l’ultimo atto di un dramma cominciato 12 anni prima a Piazzale Loreto.