di Adriano Marinensi – Nel settembre scorso, una notizia ha avuto un impatto forte sull’opinione pubblica, particolarmente in Umbria.
Questa: “Lascia il carcere il mostro di Foligno”. Non si trattava del solito epiteto affibbiato ad un assassino, dagli organi di stampa, per attirare l’attenzione morbosa del lettore, verso il fatto di cronaca. Sono tornate nell’immaginario collettivo le ombre dimenticate di una vicenda dai tratti altamente drammatici, accaduta 24 anni fa quando due bambini vennero uccisi con crudeltà da un ragazzo di poco più di vent’anni, Luigi Chiatti. Il tempo, si sa, cancella i ricordi ed anche la storia di questo duplice delitto, almeno nei risvolti più sconvolgenti, s’è persa nell’archivio dell’oblio.
Vediamo allora di rievocare,almeno i tratti salienti. Prima di tutto, chi è e chi è stato Luigi Chiatti? Se fosse oggi il giorno del suo primo delitto, si presenterebbe così. “Ho 24 anni, sono nato a Narni, il 27 febbraio 1968. Mia madre, Marisa Rossi, era una giovane cameriera, che non potendomi mantenere, mi affidò al locale Brefotrofio. In quell’Istituto sono cresciuto sino a 7 anni, con il nome di Antonio Rossi. Mia madre, all’inizio, veniva spesso a trovarmi, poi non più. Il 13 giugno 1975, sono stato adottato da una famiglia di Foligno, che ha curato la mia istruzione sino ad diploma di geometra.”
E’, a tal punto, cioè il giorno dell’adozione, che Antonio Rossi diventa Luigi Chiatti. E ha inizio una storia di rapporti contrastati tra i nuovi genitori ed un bambino di indole ribelle e talvolta aggressiva. Un carattere complicato da una esistenza, trascorsa in Istituto, che non sa di amore familiare, proprio in una fase della crescita, quando si ha bisogno di particolari affetti. Per molti diventa una disperante esperienza. Le devianze, a volte, trovano origine a quel punto ed esplodono più tardi, anche in forme aberranti. Così è stato per Luigi Chiatti, il quale – sostenne un suo compagno di Orfanotrofio – nel tempo ivi trascorso, pare abbia subito violenze da parte di un Sacerdote.
Questo è l’antefatto. A 10 anni, Luigi è in cura dalla psicologa che stila una diagnosi finale allarmante: “E’ insicuro e diffidente, possiede un ego debole e inaffettivo, con scarso controllo degli impulsi”. A scuola non socializza, ma riesce a diplomarsi. Nel 1989, va a fare il servizio militare e pure questa esperienza non risulta affatto equilibrante. Al ritorno, comincia a frullargli in testa la pazza idea di avere con se dei bambini per poterli accudire, crescere, istruire e tenerli nella mansarda di casa sua. Compra addirittura alcuni abitini e fa scorta di cibi a lunga conservazione.
Ed eccoci al 4 ottobre 1992. E’ domenica. Luigi Chiatti sta percorrendo in auto la strada che da Foligno porta a Maceratola. E’ inquieto, nella confusione dei suoi soliti pensieri ossessivi. Vede fermo, sotto un albero di noci, un bambino. Lo avvicina. Come ti chiami? Simone Allegretti, ho 4 anni. Lo fa salire in macchina e lo porta in camera sua. E’ lì che, di fronte a Simone che piange e vuole la mamma, Luigi ha un raptus e lo uccide. Poi, dà avvio ad una grottesca sceneggiata. Fa trovare, in una cabina telefonica di Foligno, un biglietto che rivendica l’omicidio e dò indicazioni per il ritrovamento del corpo di Simone. Il delirante messaggio dice: “Aiutatemi per favore, sono pentito, Il 4 ottobre ho commesso un omicidio. Sono pentito, anche se so che non mi fermerò qui. Saluti, al prossimo omicidio”. Firmato Il Mostro. Passano pochi giorni ed ecco un altro messaggio: “Aiuto non riesco a fermarmi. L’omicidio di Simone è stato un omicidio perfetto”. Quindi l’invito alla Polizia: “Fermatemi, perché ho deciso di colpire ancora la prossima settimana”. Intanto il corpo di Simone è stato trovato non molto lontano da dov’era scomparso.
La settimana successiva non accade nulla. Accade invece 10 mesi dopo, il 7 agosto 1993. Una donna avverte le Forze dell’ordine che suo nipote Lorenzo Paolucci, di anni 13, non è tornato a casa. Lo cercano e fanno pure un appello in T.V. Arriva ben presto una telefonata che parla di assassinio e ne rivendica il reato. E’ un mitomane, si chiama Stefano Spilotros, agente immobiliare lombardo. Il giorno del delitto – testimoniano concordemente alcuni suoi amici – era con loro a Rodano, vicino Milano. Un giovane operaio di Macerata si impicca e lascia scritto: “Sono io il mostro di Foligno”. Ma, non è vero niente.
Dov’era Lorenzo quel 7 di agosto? Con Luigi Chiatti, suo amico, a giocare a carte, in casa di Luigi, a Foligno. Sopraggiunge il solito impulso omicida e lo uccide. Agli inquirenti confesserà: ”Non è stato facile, lui si difendeva e mi ha detto Luigi perché vuoi ammazzarmi? A quel punto non potevo più tornare indietro”. Quindi, trascina il corpo nei pressi di un laghetto non lontano e si unisce alle ricerche sino al luogo dove viene rinvenuto. Le tracce di sangue trovate vicino all’abitazione di Luigi e le altre in cucina lo tradiscono. Viene subito arrestato e confessa di aver assassinato Lorenzo ed anche Simone. L’incubo, durato quasi un anno di affannosa caccia al mostro, è finito.
Il 1° dicembre 1994, inizia il processo in Corte d’Assise, a Perugia. Il 28 dicembre, dopo otto ore di Camera di consiglio, il Presidente Paolo Nannarone legge il verdetto che condanna Luigi Chiatti alla pena di due ergastoli. La richiesta del P. M. Michele Renzo è accolta ed i risarcimenti, per le parti lese, proposti dagli avv. Ariodante e Giovanni Picuti vengono quantificati in 500 milioni ciascuno per i 4 genitori, 300 per i fratelli, 150 per i nonni. L’11 aprile 1996, la Corte d’Assise d’Appello riconosce Luigi Chiatti seminfermo di mente e riduce la pena a 30 anni di reclusione. Il 4 marzo 1997, la Corte di Cassazione conferma quest’ultima sentenza. Ora la giustizia ha ritenuto che il mostro di Foligno abbia pagato il suo debito e il 3 settembre scorso lo ha scarcerato. Siccome è ritenuto ancora “socialmente pericoloso”, per almeno tre anni, dovrà restare in una di quelle strutture sostitutive dei vecchi ospedali psichiatrici, in Sardegna. Quando tornerà libero, se non più considerato soggetto a rischio, avrà scontato 25 anni e raggiunto i cinquanta d’età. Forse, gli peserà addosso, per sempre, l’epiteto che da solo si è attribuito in quel messaggio lasciato nella cabina telefonica di Foligno, dopo il primo misfatto : il Mostro.