Di Adriano Marinensi – Sembrava d’essere in primavera e invece ecco arrivare l’inverno e, con l’inverno torna il “moderno” problema del riscaldamento negli edifici pubblici e nelle abitazioni, in mezzo ad una rete di norme da rispettare.
Ho scritto “moderno”, perché, all’epoca dei nonni miei, che non è il medio evo, le regole non erano necessarie; la legna poteva ardere a piacere nel grande camino, incaricato di “stiepitidire” tutta la casa. E, siccome gli infissi non avevano il pregio della tenuta stagna – mamma, gli spifferi ! – di ceppi ce ne volevano assai, compreso il ceppo di Natale, messo da parte per la devota occasione.
Ai tempi nostri, dentro i condomini con l’impianto centralizzato, ricominciano puntuali i “dibattiti” tra chi, a parità di temperatura, sente freddo e chi invece s’arrabbia per il caldo. Poi, c’è chi s’affaccia al sole e chi all’ombra, chi è giovane e “caloroso” e compete con i vecchi freddolosi. Insomma, le diatribe non mancano. Spesso invece manca la presa di coscienza che lo “spreco di calore”, al pari di tutti gli sprechi, è biasimevole. C’è comunque il rispetto della normativa vigente ad indirizzare verso comportamenti improntati alla responsabilità civile. Altrimenti fioccano le ammende. La legge fondamentale è il D.P.R. 16 aprile 2013, n. 74. Definisce ”i criteri generali in materia di esercizio, conduzione, controllo, manutenzione e ispezione degli impianti termici per la climatizzazione invernale ed estiva degli edifici”.
Durante la stagione fredda, il “comandamento” principale riguarda il limite massimo della temperatura interna consentita: 20 gradi nelle abitazioni, con la tolleranza di + 2; per le attività industriali ed artigianali, 18 + 2. Per gli uffici vale il limite delle abitazioni. Anche il “raffrescamento” estivo ha un limite massimo: la media della temperatura – è scritto – non deve essere inferiore a 26 gradi – 2. Perugia e Terni sono in Zone climatiche diverse: entrambe le città sono tenute allo spegnimento degli impianti di riscaldamento il 15 aprile, mentre Perugia può accendere dal 15 ottobre e Terni dal 1 novembre. Salvo diversa ordinanza locale.
L’obbligo di rispettare la legge ricade sugli Amministratori nei condomini con impianto centralizzato e sui gestori dei negozi che, nelle grandi superfici, sono utenti ad elevato consumo. I locali pubblici, manco a dirlo, dovrebbero agire in ossequio assoluto, senza se e senza ma. Diversamente sarebbe una mostruosità giuridica e amministrativa. Ve la immaginate la sede dei Vigili Urbani, incaricati di multare gli spreconi, con il termometro a 25 gradi ? E l’ufficio del Sindaco allo stesso livello ? Roba da mettere mano al forcone (elettorale). C’è una norma particolare, in vigore dal dicembre prossimo, da ricordare seppure incidentalmente: i “centralizzati” dovranno installare dei contabilizzatori di calore e valvole termostatiche per il controllo della temperatura.
Permane un aspetto deleterio non marginale: l’elevato numero di caldaie di vecchia generazione, ancora in funzione. Messe insieme, hanno un impatto ambientale non marginale. La tecnologia ha messo sul mercato generatori capaci di ridurre l’effetto negativo e insieme garantire maggiore sicurezza. Il loro costo – considerate le agevolazioni fiscali – si può ammortizzare nel breve periodo, risparmiando sui consumi.
Siamo dunque su un terreno assai delicato da gestire, in quanto il riscaldamento ha elevata incidenza sulla “corruzione” dell’atmosfera e la modifica del clima. Nel periodo invernale, quando ai “prodotti” di base (immissioni industriali, traffico veicolare ecc.) esso si aggiunge, le centraline di rilevamento impazziscono e sovente le Amministrazioni comunali (quelle umbre non fanno eccezione) intervengono con la cura palliativa delle targhe alterne oppure con simili inutilità. Soltanto per mettere a posto – come s’usa dire – la propria coscienza. Su un altro versante di responsabilità sta però il cittadino al quale è richiesto l’impegno coerente per ricondurre la situazione costi e inquinamento entro i limiti della tollerabilità. Non si può delegare il compito soltanto ai rigori della legge ed alle verifiche che, tra l’altro, nelle abitazioni private risultano di difficile realizzazione.
A livello individuale e familiare, si tratta, in primo luogo, di corretta educazione civica che è possibile tradurre in risparmio economico. Abbassare il termostato appena, appena, non è poca cosa. Chi sa fare i conti, li ha fatti: un grado in meno – per esempio, da 21 a 20 – equivale ad un risparmio dell’8% sul consumo e quindi sulla bolletta. Bolletta che non è soltanto quella privata, ma anche pubblica, per l’incidenza che essa ha sul bilancio nazionale. Per quantificare: nel 2014 – dato ISTAT – l’Italia ha impegnato, per rifornirsi di petrolio e gas naturale, 42 miliardi di euro. Una cifra ragguardevole, sottratta ad altre voci di spesa che potrebbero incidere positivamente nello sviluppo interno. Il dovere individuale di collaborazione a ridurre gli sprechi, pure nel settore del riscaldamento, assume quindi carattere ineludibile.
Riguardo ai controlli – considerata, come detto, la quasi impossibilità di intervenire nelle abitazioni – dovrebbero indirizzarsi verso i tanti locali aperti al pubblico, spesso surriscaldati soltanto per calamitare, con il troppo caldo (e d’estate, con il molto fresco), la clientela e non per effettive necessità climatiche. Quando si tratta di grosse catene di punti vendita, le multe non fanno da deterrente, perché di scarsa incidenza sui loro bilanci ciclopici. Graduare il termostato sulla temperatura esterna, quando questa non scende verso i rigori invernali, potrebbe essere un altro segno di sensibilità, questa volta addirittura culturale e sociale.
Dunque c’è un impegno di coerenza per tutti, dettato dall’interesse singolo e collettivo avente diversi obiettivi. Non esclusa la difesa della salute, oggi, nelle aree urbane, messa in pericolo da una situazione atmosferica scesa sotto il limite della tollerabilità. L’aria che respiriamo è ormai diventata un miscuglio di sostanze (ossidi di azoto e di zolfo, monossido di carbonio, polveri sottili d’ogni spessore), prodotte in eccesso. Cioè a tonnellate, che si aggiungono agli altri milioni di tons di anidride carbonica. Cosicché, la “materia prima”, cioè l’ossigeno, rischia di finire in minoranza. Siamo lungo una strada che non porta da nessuna parte, tranne finire nel dissesto climatico e nella invivibilità. Si impone quindi una riflessione ad ogni accensione. Che ci fa pure rima.