Di Adriano Marinensi – I numeri fanno veramente paura. Li ha forniti un soggetto autorevole: la Commissione dell’Unione Europea. Sono “grandi numeri” e dicono che, facendo data al 2015, la produzione mondiale delle materie plastiche è aumentata 20 volte negli ultimi 50 anni. In Europa, in questo settore lavorano quasi tre milioni e mezzo di addetti con un giro d’affari valutato in 340 miliardi di euro e soprattutto con oltre 25 milioni di tonnellate di rifiuti. Una situazione insostenibile. L’ASM di Terni ha pubblicato di recente il risultato percentuale della raccolta differenziata: siamo sopra il 75%. Quindi sulla buona strada, da percorrere però sino in fondo, sino al recupero di tutto il riciclabile.
Credevo il riciclo fosse una idea moderna, invece mi sono dovuto ricredere, leggendo un interessante articolo, intitolato “I prodigi dell’industria” e pubblicato sul giornale “L’Italiano – Gazzetta del popolo”, nientemeno in data 21 settembre 1939 e, per verità storica, a firma di Clara Grifoni. Sì, anno 1939! Dunque, una curiosità giornalistica da … riciclare. Parla di rifiuti e, in avvio, pone una domanda: “Cosa pensereste voi di gente che buttasse migliaia di lire nella pattumiera? Gente pazza, direste.” Poi avverte: “Non guardate con orrore il secchio dell’immondizia”. Prosegue: “E’ vero, li dentro giacciono, in una promiscuità che rivolta lo stomaco, scarti di ogni genere.” Però – si mette a ragionare Clara, quasi un secolo fa, per approcciare l’argomento del rifiuto come risorsa – “li dentro si nasconde pure una parte di ricchezza”. Ripetilo, Clara, ai cittadini di oggi, che la “monnezza” è anche ricchezza!
Dunque, sin dal lontano 1939, si cercava di far capire alla gente che il recupero è una virtù. Leggo nell’articolo: “Voi mettete in quel secchio gli ossi, le spine di pesce, le vecchie stringhe ed esso, con un magico gioco di prestigio, vi ridà sapone, candele, bottoni”. E persino oro, staccato dai piatti rotti del servizio buono. Quindi l’annotazione bizzarra dedicata alla “turba di piediscalzi”, forse gli antesignani sgarrupati della odierna selezione municipalizzata. Ecco: “Ci fu un tempo in cui ogni casa scaricava fuori della porta la propria immondizia”. Era a notte alta che arrivavano i “piediscalzi”, con la lanterna in mano e la gerla in spalla. Si mettevano a rovistare, “ognuno secondo la propria specialità”. Si potevano definire i “liberi professionisti del pattume”.
In tempo successivo, siccome s’era smesso di tollerare quel mercato immondo, furono seguiti dai “raccoglitori autorizzati”. La cernita fatta la caricavano sui carretti trainati da “cavalli camminatori” che procedevano pian, piano, “tanto che fretta c’era: la merce non si guastava di sicuro”. Queste scene sono riferite ad una arcaica città di Torino, ma è credibile si ripetessero in altre grandi comunità dell’epoca. Ed a quel tempo già Torino – scrive Clara Grifoni – produceva rifiuti per “60.000 quintali al mese”, raccattati da “500 scopini equipaggiati di ramazza”. Di conseguenza la domanda: “Dove portano tutto quel ciarpame?” La risposta: “Ai depositi che, a loro volta, lo distribuiscono agli agricoltori”. Il recupero, non più di competenza del “piediscalzi”, veniva affidato agli “spazzaturai”, i quali la parte migliore se la portavano a casa, in periferia. Si legge: “Tutti i membri della famiglia partecipano alla scelta degli oggetti di utilizzazione domestica”.
Per esempio, la scopa “un poco calva, ma può servire” oppure “un paio di ciabatte per la nonna”. La giornalista fa dire al cenciaiolo: “Certo non bisogna essere schizzinosi. Vedete le croste di pane ammuffite? C’è un tale che le compra per cederle ai fabbricanti di polveri dentifrice”. Quel tale li, in questa singolare catena di lavorazione dei rifiuti, si chiama “incettatore”, cioè colui il quale “tratta direttamente con le aziende”. C’è pure la figura dell’esperto, addetto alle vecchie calzature: “Le scuce, le schioda, le fa a pezzi”. Una suola da uomo serve per farne un’altra da donna o da bambino. Ed ecco la “centrale spazzina” definita “la mecca dell’immondizia, l’eldorado del sudiciume”. In quel luogo, lontano dalla città, arrivavano, nelle albe nebbiose, i carri con “a cassetta, per lo più, un omaccione – specifica Clara – che, da come stantuffa grosse fumate dalle narici, si capisce il mestiere gli si confà a meraviglia.”
Il ciclo dei rifiuti, in quella Torino antica, si conclude sul piazzale della “centrale spazzina” dove tutto viene ammucchiato per poi, dopo la setacciatura, essere immesso su un nastro trasportatore, attorno al quale si affollano gli operatori. “Curvi su quel fiume, spartiscono il materiale, lo selezionano, lo razzolano. La carta va alla cartiera, gli stracci alla filanda, dove saranno sterilizzati in autoclave e ritessuti, i rottami di ferro alla ferriera. Quanto alle ossa, vengono sgrassate con un solvente, per farci sapone, colle dure e concime.” Il racconto si conclude così: “Dal mattino alla sera, eserciti di galline si rovesciano su quel paesaggio di detriti e, a forza di becco, vi scoprono il loro cibo quotidiano. Anche l’uovo al tegame viene fuori da li.”
Ora io non so se Clara Grifoni abbia immesso nella sua narrazione di quasi cento anni fa, notazioni romanzate o, quanto meno, di colore giornalistico, per dare letteratura alla forma. Mi è parso però di capire che – seppure con sistemi e metodi alquanto primitivi – sin d’allora, si cominciava a prendere coscienza che il principio del recupero e del riciclo era lo strumento per ridimensionare il peso di un problema ancora irrisolvibile in modo diverso dalla raccolta differenziata. Che scomodità ne crea, però, senza la diretta collaborazione del cittadino, anche il meglio organizzato servizio pubblico non riuscirà a venirne a capo. Poi, in giro, sono in molti a reclamare che la città (Terni, per esempio) è sporca e la tassa della N.U. è troppo alta. Mentre l’obiettivo del conferimento in discarica quasi a zero, resta ancora lontano. Eppure, guardando nei contenitori, almeno quelli collettivi, ti accorgi che non sono pochi gli irresponsabili che perseverano nel fare di ogni rifiuto un fascio. Qualcuno, oserei dire, per “partito preso”.
Al principio del mio scrivere ho messo una data, riferita all’articolo antico, che ribadisco: 21 settembre 1939. Ci faccio un’aggiunta: quel settembre fu un mese infame per l’umanità. Venti giorni prima, con l’invasione della Polonia, ad occidente da parte dei nazisti, ad oriente da parte dei sovietici, iniziava la 2^ guerra mondiale. Ma, questa è un’altra storia. Ne ho raccontate diverse di vicende riferite a tale evento e le occasioni non dovranno mancare in avvenire, per mantenere in memoria gli orrori. Oggi però di problema ce n’è un altro, certo di minore portata, che però attenta all’integrità della natura ed alla salute dell’uomo: è lo smaltimento della massa sempre crescente di scarti d’ogni genere, compresi i tossici e nocivi. E soprattutto le plastiche. Credo sia dovere di ciascun cittadino collaborare fattivamente e civilmente alla raccolta differenziata. Con i rifiuti abbiamo costruito nuovi territori, li abbiamo nascosti ovunque e inquinato mari e monti: continuare così non è più possibile. La Roma di questi giorni, soverchiata dalla monnezza, docet!