Le ragioni ideologiche della rubrica, che presenta una rassegna di contributi scientifici firmati da studiosi afferenti alla Sezione Interdisciplinare di Disegno e Architettura del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università degli Studi di Perugia e concernenti tanto i progettisti quanto le opere più significative realizzate nella nostra regione durante il XX secolo, derivano da questa semplice considerazione.
Che è ampiamente condivisa a livello nazionale, ma che rimane tuttora pressoché inedita a livello locale.
Paolo Belardi
Giacomo Pagnotta – Casa Lina, che rappresenta il più importante dono dedicato da Mario Ridolfi alla moglie Adelina, può essere definita il “paradigma progettuale” dell’architetto, soprattutto se riferita alle opere del “ciclo delle Marmore”, una serie di progetti e realizzazioni per la committenza privata situate nei dintorni di Terni, che incarnano, attraverso sapienti declinazioni nell’utilizzo della pietra sponga, la fase conclusiva di una attività progettuale e di ricerca architettonica che ha eletto il maestro romano a uno dei “padreterni dell’architettura” (come lui stesso si definisce sul retro di una foto che lo vede in posa con Adalberto Libera).
Nato il 5 maggio 1904 da una famiglia artigiana impegnata nel settore dell’edilizia e laureatosi alla Regia Scuola Superiore di Architettura di Roma, Ridolfi si dedica all’attività professionale partecipando dapprima a molti concorsi per il progetto della nuova Roma del regime fascista e poi alla realizzazione del Manuale dell’architetto. Nell’ambito di questa fiorente produzione si palesa la sua particolare metodologia di analisi del progetto e della costruzione, unita a un “fare scientifico” proprio del Movimento Moderno, ben lontano dall’ideologia di artigianato romantico e popolaresco che gli veniva attribuita. L’adesione nel dopoguerra alla corrente del Neorealismo architettonico lo porta a reinterpretare i principi del passato mediante tecniche, materiali e particolari costruttivi che tendono a ricreare uno spazio architettonico e abitativo ideale ispirato al tessuto urbano storicizzato. Casa Lina ne è l’esempio più significativo e diviene per Ridolfi una meta ideale dove trascorrere la vecchiaia, una sorta di “tempio” familiare dove recuperare gli affetti più cari: da qui la scelta di adottare una distribuzione a pianta centrale anomala e inusuale per opere con scopi abitativi.
I numerosissimi disegni per Casa Lina, che impegnano l’architetto dal 1963 al 1967 (segno di una incessante elaborazione di idee e di un superamento del disegno come puro e semplice strumento di rappresentazione), lasciano trasparire i principi di concepimento e sviluppo di un’opera caratterizzata da una moltitudine di varianti e da un’enorme attenzione per il dettaglio architettonico. È infatti la cura del particolare che esprime i diversi caratteri dell’architetto: l’inventore, l’artista, ma soprattutto l’uomo. Gli studi progettuali di Ridolfi si articolano in nove soluzioni iniziali e nel progetto esecutivo, caratterizzati da disegni a mano libera (realizzati a matita o a penna) che rappresentano planimetrie, schizzi prospettici e assonometrici, sezioni e studi di particolari. Ogni soluzione affronta nuovi e più minuziosi approfondimenti, fino a quella definitiva che adotta in modo risolutivo la stella a dieci punte e, oltre a planimetrie, prospetti, sezioni e dettagli di porte e finestre, prevede undici studi inerenti l’ampliamento della casa, laddove Ridolfi desiderava crearsi un ulteriore spazio da destinare a suo studio mai realizzato. Fondamentali per comprendere l’attenzione con cui si è dedicato a questo progetto sono i disegni riguardanti i dettagli di finitura e gli arredi: i comignoli, la copertura, la scala a chiocciola, gli infissi con ringhiere, le pavimentazioni, le persiane e le zanzariere. I particolari architettonici e le realizzazioni in ferro battuto utilizzate sia come elemento decorativo che come elemento funzionale, riportano il motivo del “nodo d’amore” e rivelano il connubio tra l’architettura di Ridolfi e l’artigianato.
Casa Lina ha uno schema planimetrico generato dalla rotazione di due pentagoni inscritti in un cerchio dal diametro di circa 7 metri e ispirato alla cultura architettonica rinascimentale e barocca. Il tema è enfatizzato dalla lanterna pentagonale posta sulla sommità del tetto a falde, che permette un’illuminazione studiata degli ambienti sottostanti con un’alternanza di luci e ombre che richiama la stella posta al centro del parquet. La distribuzione interna manifesta l’idea iniziale di Ridolfi di realizzare un ambiente completamente aperto a eccezione della camera da letto, della cucina e della stanza da bagno; in tal senso la struttura viene realizzata con pilastri portanti posti in corrispondenza dei vertici di un ipotetico terzo pentagono immaginato al centro della composizione architettonica. Purtroppo per necessità pratiche Casa Lina viene successivamente suddivisa per realizzare nuovi ambienti dislocati attorno al fulcro centrale, che tuttavia in questo modo perde gran parte delle sue caratteristiche peculiari, diventando quasi uno “spazio di risulta”, come dichiarato dal figlio dello stesso Ridolfi.
La facciata è caratterizzata da una muratura a fasce orizzontali di pietra sponga alternata a liste di mattoni rossi, che conferiscono al prospetto un valore decorativo. La preziosità e la ricercatezza sono inoltre enfatizzate dall’uso, sia all’interno che all’esterno, del ferro battuto, impiegato per il parapetto e per le ringhiere con una serie di motivi ornamentali che manifestano il sentimento che lega l’architetto alla sua sposa. Casa Lina è l’ultima abitazione dove Ridolfi ha vissuto, una costruzione che è il frutto della sua storia personale e dei suoi stati d’animo, dove l’attenzione nell’indagare ogni particolare della costruzione la rende perfetta nel soddisfare le esigenze abitative rimanendo pur sempre un “diamante” denso di sentimenti ed emozioni.