A Sarajevo l’attentato che sconvolse l’Europa all’inizio del XX secolo
di Adriano Marinensi
Spesso, i grandi accadimenti della storia si allontanano dalla memoria comune e diventano quasi sconosciuti. Eppure, ci sono fatti che segnano cambiamenti epocali. Con un prima e un dopo. Per esempio, la Grande guerra (1914 – 1918), il dramma che sconvolse l’Europa, riempì le trincee di combattenti e provocò milioni di morti, militari e civili, di feriti, di invalidi per sempre. Con la situazione del prima, molto diversa dall’altra del dopo.
Perché ebbe inizio quel conflitto disastroso? L’Europa, allora, era “presidiata” da potenti monarchie rivali, raggruppate in due schieramenti: La Triplice Intesa (Francia, Russia, Inghilterra) e la Triplice Alleanza (Germania, Austria, Italia, poi passata a fianco dell’Intesa). All’inizio del secolo scorso, predominante era l’Impero austro – ungarico dell’arcigno Francesco Giuseppe d’Asburgo (Ceccopeppe). Una condizione di equilibrio precario che, per saltare in aria, trovò l’innesco destabilizzante, nel famoso attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914.
Il popolo serbo s’era legata al dito la forzata annessione della Bosnia – Erzegovina nell’Impero di Ceccopeppe. La conseguenza furono i movimenti slavi di opposizione e di liberazione. Uno di essi, appoggiato dalla cosiddetta Mano Nera, trovò l’occasione per dimostrare l’odio verso gli Asburgo, nel corso della visita ufficiale, a Sarajevo, dell’erede al trono, l’Arciduca Francesco Ferdinando, accompagnato dalla duchessa Sofia, sua moglie.
L’uomo con la pistola che spara e uccide
E’ la mattina del 28 giugno e i due illustri ospiti transitano, tra la folla, a bordo di un’auto scoperta. La scena è immortalata sulla copertina della italiana Domenica del Corriere. Oltre alle due Altezze reali, sedute nel retro del veicolo, si vede di spalle un uomo con una pistola in mano che spara e uccide entrambi. L’assassino si chiama Gavrilo Princips, nazionalista serbo – bosniaco, non ancora ventenne. Con il gesto regicida intende risvegliare le coscienze dei suoi compatrioti alla ribellione contro gli invasori asburgici. L’attentato doveva fare da segnale, ma non ebbe l’effetto sperato.
Francesco Ferdinando era diventato l’erede al trono, per opera del destino. L’albero genealogico della dinastia, alla casella successiva, indicava Carlo Ludovico, fratello dell’Imperatore regnante, il quale morì di febbri tifoidi. Allora, altra casella e altro nome: Rodolfo, il figlio del defunto e nipote di Francesco Giuseppe. Un tipo un po’ “farfallino”, Rodolfo. Aveva per moglie la principessa Stefania del Belgio e per amante la baronessa Maria Vetsera, che gli aveva preso il cuore. Cercava spesso piaceri fuori del “recinto” della Corte, tanto da procurarsi una malattia venerea.
Gli amanti suicidi a Mayerling
Possedeva un castello a Mayerling, non lontano da Vienna, adibito a casa di caccia per i suoi svaghi. Gli era stato imposto di cessare la relazione con la Vetsera. E allora i due si ritirarono a Mayerling e si uccisero. Oppure furono suicidati. Oppure la ragion di Stato decise di eliminare loro e la vergogna. Per evitare ogni forma di scandalo, pare che il suo corpo, vestito con la consueta livrea e tenuto dritto con un asse fissato alla schiena, fosse riportato, come vivo, a Corte in seppellito in fretta. Giova ricordare l’altro attentato, ad opera dell’anarchico italiano Luigi Lucheni che – nel 1898, a Ginevra – uccise Elisabetta di Baviera, moglie dell’Imperatore Francesco Giuseppe, la Sissi cinematografica, Imperatrice d’Austria, Regina di d’Ungheria, Boemia e Croazia.
Ancora in tema di disgrazie in casa Asburgo, una citazione la merita Massimiliano, fratello minore di Francesco Giuseppe. Napoleone III gli “regalò” la corona di Re del Messico, un dono poi rivelatosi avvelenato. Il germano lo autorizzò ad accettare per liberarsi di lui. Prese possesso del Regno, ma dovette fare subito i conti con i repubblicani che gli opposero il loro esercito. Il suo governo durò soltanto tre anni. Venne sconfitto, deposto, condannato a morto e fucilato.
Ceccopeppe dichiara la guerra
Ma, torniamo al 28 giugno 1914. L’accoglienza a pistolettate da parte di Gavrilo Princips, a Sarajevo, scatenò la reazione di Vienna. Appena un mese dopo, l’Imperatore decise di dichiarare guerra alla Serbia, attribuendole la responsabilità del grave fatto di sangue. Si scatenò l’inferno attraverso l’effetto domino con l’entrata degli eserciti dell’Intesa e degli alleati. La guerra segnò il crollo militare ed il declino di potere degli Imperi centrali e di quello Ottomano. L’intervento armato degli Stati Uniti (aprile 1917) incise in modo importante sull’esito finale. In misura minore l’uscita della Russia (marzo 1918) a seguito della Rivoluzione bolscevica e l’eliminazione dell’intera famiglia Romanov di Nicola II (Ekaterinburg – 17 luglio 1918).
Durante il biennio 1918 – 19, la Conferenza di Parigi e il Trattato di Versailles disegnarono la nuova Europa geografica e politica, mentre ad Est si andava consolidando lo Stato sovietico e la dittatura staliniana. E’ il preludio degli ulteriori sconvolgimenti dei decenni successivi, culminati con il secondo conflitto mondiale.
In Europa, 10 Stati sono diventati 20
E l’Europa del dopo la guerra e del dopo Versailles? Gli storici Livet e Mousnier esprimono questo giudizio: “L’Europa, appena messa in piedi, è frammentaria. Al posto di una decina di Stati se ne trovano una ventina, gelosi dei propri confini, preoccupati della propria sicurezza sbarrano le porte. L’Europa soprattutto è in condizioni di sfacelo. La guerra ha provocato la morte di tre – quattro milioni di persone, per lo più giovani, dinamiche che aprono grossi vuoti tra le nuove generazioni, delle quali avrebbero sicuramente rappresentato i quadri migliori”. Con l’aggiunta di un forte disordine economico, politico e sociale.
In Italia, la delusione per le mancate promesse che avevano giustificato il “salto della quaglia” dall’Alleanza all’Intesa, il problema del “reducismo” esasperato dalla caduta dell’occupazione nelle aziende belliche, la crisi economica conseguente; queste ed altre negatività esasperarono gli animi dando spazio politico alla protesta rivoluzionaria cavalcata da Mussolini. Fu la dittatura e la caduta d’ogni diritto di libertà per un lungo periodo grigio, durante il quale scrivemmo gli anni con le lettere romane. E imparammo a credere, obbedire e combattere.