Disservizi antichi ed altri di questi tempi: le nuove pandemie
di Adriano Marinensi
Giorni addietro, il mio solito sfruculiare tra le carte, mi ha posto in mano un articolo di cronaca locale, con questo titolo: Traffico a Terni. Le auto assediano la città. Nel testo si fa notare che l’aumento della circolazione ha raggiunto livelli superiori a quelli nazionali, provocando una situazione assai complicata. Tra le cause indicate, la presenza di un centro direzionale e commerciale concentrato in un’area limitata e privo delle infrastrutture necessarie. E ancora nell’articolo: La viabilità è incapace di consentire collegamenti veloci tra le aree di interesse collettivo. L’ulteriore osservazione è lapidaria e riguarda l’inadeguatezza della Vigilanza urbana.
Gli effetti – fa notare l’attento cronista – interessano, in modo prevalente, il centro cittadino e le strade che lo delimitano. Senza escludere (l’aggiunta è ormai storica) l’inquinamento da polveri sottili che “sfora il livello di tollerabilità” un giorno si e l’altro pure e ci vede nella parte alta della classifica per province. La conseguenza (storica anch’essa) è una situazione di pericolo collettivo, certificata dal settore sanitario. Non regge più il “paravento” della conformazione orografica della conca e la scarsa ventilazione che favoriscono l’accumulo delle sostanze nocive in atmosfera.
Mi è parsa, nella testimonianza giornalistica, la “rappresentazione fotografica” del presente stato dell’arte circolatoria ternana, forse con qualche magagna omessa. Poi, sono andato a leggere la data del quotidiano (solitamente bene informato dei fatti) ed è risultata 25 novembre 1980. Si, 1980. A occhio e croce, più di 40 anni fa. Un lasso di tempo che semmai ha visto fiorire nuovi “mercatoni”, una motorizzazione ancora più affollata, la vigilanza urbana parimenti non pervenuta, nessuna nuova strada capace di alleggerire l’impatto del groviglio a scoppio. Compresa la bretellina (è solo un esempio) che dal bivio dell’Ospedale scende giù per qualche decina di metri, rimasta incompiuta da inizio data non più memorabile. E’ la congiunzione astrale del tempo che passa e dell’immobilità politico – amministrativa che continua a pesarci tra capo e collo. Allora non ci resta che invocare l’urna prissima, dicendo: “libera nos a malo”.
Ed ecco il primo annesso sconnesso. In occasione delle festività di fine anno 2021, l’esimio Amico prof. Franco Ferrarotti ed io – siccome, causa l’età non più verde di entrambi, abbiamo rispetto per le tradizioni – ci siamo scambiati gli auguri alla vecchia maniera. Buon Natale e Felice anno Nuovo vergati, come una volta, magari in un cartoncino con sopra il Presepe innevato e i pastori. Insomma, la lettera di carta, francobollata e inoltrata a mezzo posta. Forse, nostalgie inconsce. Non so quanto tempo sia trascorso tra la partenza e l’arrivo del mio augurio a Lui. So invece per certo che il suo a me è giunto dopo 7 giorni (dicesi sette) dal timbro di spedizione, per viaggiare nel breve percorso Roma – Terni.
Care Poste Italiane, con rispetto rifletto: Considerato che l’esseemmeesse, innovativa tecnica della telefonia, trasmesso un minuto fa, è già nel cellulare (o in altre diavolerie di ugual genere) della persona messaggiata, il servizio postale, che impiega una settimana per fare la stessa operazione, appare fuori dal tempo. Manco se quella gradita missiva dell’Amico Professore l’avessero recapitata con i cavalli, cambiati alle stazioni di posta. Bye,bye!
Secondo annesso doveroso. L’ex Presidente, ex Senatore, ex Cavaliere, ora è diventato anche ex Candidato alla Presidenza della Repubblica. S’era autoproposto all’alta carica e – dopo aver tenuto a lungo l’Italia per le orecchie – ha deciso (l’hanno “consigliato”?) di fare il passo indietro. E’ plausibile che, anche i suoi sodali, abbiano finito per spostare la “faccenda” dal solco stretto della semplice acquisizione (sic!) di voti, attraverso la questua postulante rivolta ai grandi elettori, al versante un po’ più nobile del decoro politico.
Subito, dal right side dell’italico schieramento, è partita la fiera dell’ipocrisia. Hanno detto di Lui: Oggi tutti (beh! Proprio tutti, tutti non credo) gli riconoscono di essere un grande statista; Ha anteposto gli interessi dell’Italia a quelli personali; Un gesto che testimonia la sua generosità e il senso dello Stato. Poi ancora, responsabilità, lungimiranza, spirito di sacrificio ed altri encomi di simile facezia. E’ mancata l’invocazione santo subito. Un po’ meno loquaci i due ragazzini che vogliono giocare con la storia (ipse dixit).
La scenografia adulatoria non è piaciuta all’interessato. Il vecchio patriarca dicono di averlo visto allontanarsi – barrendo sdegnato: i voti ce li avevo – verso il destino dei pachidermi offesi dal branco. Quasi che l’unica caratteristica per diventare Capo dello Stato fosse quella di saper raffazzonare suffragi, dispensando “obbligazioni”. A tal punto, Nilla Pizzi (ricordare la regina della canzone italiana?) avrebbe cantato il finale: Grazie dei fior e addio, per sempre addio, senza rancor!