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Home » Subiaco: Non solo Gina Lollobrigida, ma anche i Santi umbri
Opinioni

Subiaco: Non solo Gina Lollobrigida, ma anche i Santi umbri

admin06 Mins Read
 
 
 

L’ arringa di De Gasperi alla Conferenza di Pace a Parigi (1946)

di Adriano Marinensi

Subiaco è il paese antico della Ciociaria, sito nell’Alta Valle dell’Aniene, circa 10.000 anime, attaccato alla roccia di un monte. Di Subiaco si è tornato a parlare di recente, in occasione della scomparsa di Gina Lollobrigida, che vi era nata il 4 luglio 1927. Antonio Fogazzaro – poeta, scrittore, Senatore del Regno d’Italia – lo descrive così: “L’aguzza catasta di case e di casupole grigie che si appunta nella Rocca del Cardinale”. Il Cardinale fu Papa Alessandro VI (1492 – 1503) che ci fece vivere, per un po’, la concubina Vannozza Cattanei, la quale, in quell’aspro castello, pare abbia data alla luce Lucrezia, sorella di Cesare, entrambi figli del Papa – papà Rodrigo Borgia.

Ora io dico va bene il ricordo della “bersagliera”, gloria insigne del nostro cinema, va bene storia e figura dell’augusto maniero che sovrasta Subiaco, ma mi permetto di aggiungere che in quella “aguzza catasta di case”, come la descrive Fogazzaro, ci sono le impronte di tre Santi umbri: San Benedetto, San Francesco e Santa Scolastica da Norcia che di Benedetto fu sorella.

C’è una leggenda devozionale che vuole Benedetto da Norcia, ancora giovane, eremita in una grotta impervia, presso Subiaco, dove visse per tre anni, sino al giorno di Pasqua del 500. La storiografia parla di un tentativo di avvelenamento che lo fece fuggire. Tornò a Subiaco e ci rimase a lungo, creando una numerosa comunità in alcuni monasteri, uno dei quali dedicato appunto all’altra Santa di Norcia. Il Santuario del Sacro Speco, intitolato a San Benedetto, custodisce il famoso ritratto del Poverello di Assisi, vestito del saio monacale, il cappuccio in testa, la figura tutt’altro che longilinea, un affresco di assoluta somiglianza, dicono i suoi biografi.

Da Subiaco partì San Benedetto per salire sul lontano Montecassino, dove, nell’anno 529, fondò la grandiosa Abbazia, tra le più antiche d’Italia. Nel corso dei secoli ha subito saccheggi, terremoti, distruzioni e fedeli ricostruzioni. L’ultimo “attentato sacrilego”, ad opera degli aerei alleati, il 15 febbraio 1944, durante una delle battaglie di Cassino. Ho voluto ricordare brevemente il centro storico di Subiaco, guardato attraverso il legame che lo unisce ai Santi umbri dei quali esistono, lassù, sul monte, tracce indelebili, prossime alla loro opera di messaggeri di pace e fraternità.

La Conferenza di Pace di Parigi (1946)

Ora facciamo un salto a Parigi, però retrocedendo di alcuni decenni, rispetto ad oggi. A Parigi, dal 29 luglio al 15 ottobre 1946, si svolse la Conferenza della Pace, all’indomani della fine, in Europa (maggio 1945) della 2^ guerra mondiale. Benito Mussolini, nel giugno1940, aveva giustificato l’entrata dell’Italia nel conflitto, dicendo che gli serviva un migliaio di morti per sedersi da vincitore al tavolo della pace. Invece, lui a Parigi non c’era (ucciso il 28 aprile 1945 a 62 anni) e se ci fosse stato, avrebbe preso posto nelle ultime file riservate agli sconfitti.

Vae victis disse Brenno ai romani. I vinti di Parigi furono quelli che avevano dato una mano alla Germania nazista per scatenare l’inferno. Cioè, oltre all’Italia, l’Ungheria, la Romania, la Bulgaria, la Finlandia. La Germania ovviamente non era stata invitata, non essendo più, in quel momento, una Stato sovrano, in quanto diviso in 4 zone, ciascuna affidata al controllo di Stati Uniti, Unione Sovietica, Inghilterra e Francia. Al banco dei vincitori sedevano i rappresentanti di 21 Paesi, tra i quali, insieme ai 4 appena citati, il Belgio, l’Olanda, la Polonia, la Danimarca, la Norvegia, l’Albania, la Jugoslavia, la Grecia, la Cecoslovacchia.

La delegazione italiana era formata da De Gasperi, Capo del Governo e Ministro degli Esteri, accompagnato dalla figlia Maria Romana, Giuseppe Saragat, Epicarpo Corbino, Ministro del Tesoro, Ivanoe Bonomi e Giuseppe Brusasca. Si trattava di difendere una causa impossibile da portare a casa. Il trentino ci provò sventolando il tricolore tornato libero, per merito delle lotte di Liberazione, del fascismo cancellato, delle ricostruite Istituzioni democratiche.

Siamo al pomeriggio del 10 agosto 1946, quando il Presidente della Conferenza di Parigi da la parola a De Gasperi che va al microfono per pronunciare uno dei discorsi memorabili della sua storia di statista. Sa di parlare a nome di uno Stato, l’Italia, che è entrato in guerra da nemico dei vincitori. Anche se, con la firma dell’Armistizio (8 settembre 1943) aveva mutato schieramento; ma la Repubblica di Salò (settembre ’43 – aprile ’45), organizzando un regime collaborazionista, aveva dimostrato il contrario. La figlia Maria Romana scrisse: “Con visibile angoscia, mio padre salì i gradini della pedana di fronte ai Ventuno. Era notaio della sconfitta altrui e doveva convincere che la nuova Italia meritava fiducia”.

Questo fu il principio del discorso: “Prendendo la parola in questo Consesso mondiale, sento che tutto – tranne la vostra personale cortesia – è contro di me. E’ soprattutto la mia qualifica di ex nemico che mi fa considerare imputato. Ho però il dovere, innanzi alla coscienza del mio Paese e per difendere la vitalità del mio popolo, di parlare come italiano, ma anche come democratico antifascista”. Seguì una arringa in tono autorevole, fondata sulle ragioni di un popolo e di un territorio martoriati, per anni, dai bombardamenti Alleati e da una crudele occupazione nazista. “Siamo qui – sottolineò – per favorire la vostra opera in quanto contribuirà ad un assetto più giusto del mondo”. E garantì la fede della forte democrazia italiana nel superamento della crisi bellica e nel rinnovamento politico – culturale, con validi strumenti di libertà.

Scrisse il Segretario di Stato americano James Byrnes: “Quando De Gasperi tornò al suo posto nell’ultima fila, nessuno gli parlò. La cosa mi fece impressione”. Nel passare dinnanzi alla Delegazione USA, Byrnes gli tese la mano. E nel suo memoriale aggiunse: “Volevo fare coraggio a quell’uomo che aveva sofferto nelle mani di Mussolini ed ora stava soffrendo nelle mani degli Alleati”. L’Italia dovette cedere Zara e la Dalmazia alla Jugoslavia e il Dodecaneso alla Grecia; rinunciare alla Libia, all’Eritrea, riconoscere l’indipendenza dell’Albania e dell’Etiopia. Di sicuro però l’autorevole “orazione” di De Gasperi al Congresso di Parigi, aprì la strada al nostro Paese per l’ingresso tra le democrazie occidentali e allo stesso De Gasperi dette la legittimazione ad essere, di li a poco, uno dei principali promotori, con i Trattati di Roma, della moderna Unione Europea.

Ultima notazione: Come detto, la Germania di Hitler, Paese aggressore, non fu invitata a Parigi; così come, giorni addietro, la Russia di Putin, Paese aggressore, non è stata invitata alla cerimonia commemorativa di Auschwitz.

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