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Opinioni

Siamo al cambio del verbo: risparmiare al posto di consumare

admin05 Mins Read
 
 
 

La baguette del supermercato e il pane di mia nonna

di Adriano Marinensi

In questa condizione prorompente di crisi nazionale, ci sono due soggetti che hanno ignorato il cambio del verbo: Risparmiare al posto di spendere. Questi due soggetti che alla nuova dottrina economica hanno fatto, con il braccio, il verso dell’ombrello, sono la Televisione e il Mondo del pallone. Dalle loro parti nessuna voce s’è levata a favore di una più accorta gestione delle spese. Che, per il piccolo schermo, d’ogni padrone e d’ogni emittente, significano riduzione dei “gettoni” ai grandi papaveri, dei sontuosi compensi elargiti alle frivole comparsate ed ai “marchettari”, reclutati per la realizzazione di spettacoli spesso deprimenti.

Mentre da tutti i lati ti senti dire, dovremo destinare minori risorse familiari ai consumi, il carosello pubblicitario continua a stimolare l’acquisto di prodotti, necessari o superflui, con la stessa enfasi e lo stesso intento. Compra questo, usa quello. Più prendi e meno spendi! Ma, che razza di discorso è? D’altronde, se lo dice la televisione, il prodotto diventa di marca. E gli altri li acquistano in pochi.

Nessuna parsimonia intervenuta da parte del convitato di pietra, entrato nelle case senza invito e messosi a blaterare notte e giorno, da ogni pulpito e palcoscenico. La T. V., appunto. Fino a farti rimpiangere (vale per i più anziani) la armoniosa voce delle annunciatrici che, tutte le sere, chiudevano le trasmissioni. E buonanotte! Negli attuali ambienti televisionari, in cima all’albero della cuccagna permangono intatti i bonus del passato (mica prosciutti e caciotte), nel silenzio generale dell’intera opinione pubblica.

E’ diventato ormai pacifico che, ai teledipendenti puoi chiedere di ridurre di un’ora il tempo del riscaldamento, ma, per carità, non si parli di un’ora in meno nell’accensione del piccolo schermo. Il quale è sacro e non gli si può ordinare di tacere. Non per caso il telecomando è diventato il “bastone del potere” domestico. Dunque, meno gas si, meno Isola dei famosi no: Il comandamento non è trasgressibile. La fede televisiva richiede rispetto e una accensione devotamente ininterrotta. Anche se nessuno sta a guardare.

L’altro settore dove nessuna crisi crea mutamenti è quello del pallone preso a calci. Tutto immutato dagli stipendi d’oro dei calciatori e allenatori, ai favolosi ingaggi, ai guadagni faraonici dei procuratori, alle sfarzose spese di società diventate grandi aziende. Dai direttori generali alle signore delle polizie. La recente “campagna acquisti” ha dato ampia dimostrazione delle risorse finanziarie che circolano, si intrecciano, vanno ad accrescere i dissesti di bilancio, ormai diventati consolidati per centinaia di milioni di euro. Senza alcuna verecondia e soprattutto nessuna censura. Sono quasi tutte banche all’incontrario. Alcune sempre sull’orlo del fallimento.

Il caffè da Briatorte

Però, in T. V. come nel calcio, lo spettacolo deve andare avanti. Anche le “esagerazioni”. Pure se milioni di famiglie non arrivano a pagare le bollette e gli alimentari a fine mese. Pare sia venuto il tempo obbligatorio per cambiare stili di vita all’insegna delle nuove parole – bandiera: economia, lesina, parsimonia. Cambiare costumi da così a così. Ma non è richiesto a tutti. Per esempio, nessun “effetto risparmio” per chi prende il caffè da Briatore a 70 euro a tazzina. Quelli potranno continuare a dissipare, magari mettendo un freno in più sul pagamento delle tasse. Incrementando l’evasione.

Paradossalmente, le statistiche ci informano che, nel commercio dei beni di lusso, gli affari vanno bene. E gli speculatori – come al tempo del 2* conflitto mondiale – stanno facendo ottimi guadagni. A subire invece scosse ad alta tensione sono i sudati risparmi delle classi medie e popolari, finiti nel gorgo della svalutazione e gli emolumenti fissi (stipendi e pensioni) vittime dei notevoli rincari delle merci di prima necessità. Le nubi all’orizzonte dicono che il domani sarà ancora tempestoso, per colpa di una sciagurata guerra innescata da uno stato sovranista e autoritario. Quelle del 25 prossimo dovranno essere, per l’Italia, elezioni intelligenti.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Ho comprato il pane al supermercato. Uno sfilatino imbustato nell’igienico contenitore, metà di carta e il resto di plastica trasparente. Proprio questa trasparenza esibiva l’aspetto croccante che faceva da “consiglio per l’acquisto”. Il nome era stampato sull’incarto di carta: baguette. Dunque non mostrava d’essere il volgare sfilatino d’una volta, ma qualcosa di più raffinato e à la page. Semmai, sfilatino di nome e baguette l’attributo nobile. A casa mi sono tolto prima lo sfizio di prendergli le misure: Lunghezza più di mezzo metro; poi sono andato a leggere quanto scritto sopra l’incarto di carta, le indicazioni per l’uso e qualche avvertenza. Dice: “Prodotto ottenuto da pane parzialmente cotto surgelato (sic!). Doratura e confezionamento operato in questo esercizio. Da non risurgelare. Per ingredienti e allergeni, vedi libro esposta..”

Siccome, non di solo pane vive l’uomo, ho acquistato un etto di mortadella, nell’intento di prepararmi, con tratti di baguette, all’indomani e al domani l’altro, saporite merende. Desiderio purtroppo rimasto inappagato, in quanto, sin dal giorno dopo, la mollica immangiabile, perché “rifatta” era diventata di gesso a pronta presa. Non conosco cosa stesse scritto sul libro esposto. Però debbo esprimere meraviglia di fronte all’esigenza di consultare il “manuale d’uso” prima di consumare il pane quotidiano.

So invece per certo che mia nonna buonanima non teneva alcun libro da leggere per sapere di cosa fosse fatto e come fare il suo pane. Le era noto, per atavica memoria, che le “sostanze” in uso erano farina del molinaro, lievito naturale e acqua della fontanella. Il procedimento: Impastare a mano libera, fare lievitare nella madia in cucina (la “mattera”) con l’ausilio di una pentola d’acqua mantenuta calda. E l’immancabile devoto segno della croce sulle pagnotte. Quindi – ogni 15 giorni – la cottura nel forno sapientemente accalorato che emanava gustose fragranze. Nessun precotto e invece ottime bruschette perfino dopo una decina di giorni.

Conclusione. Poiché, tra la baguette acquistata al “mercatone” e le pagnotte dell’ava mia non corre alcuna parentela nella forma, nel contenuto e nel sapore, allora c’è da stabilire quale fosse, dei due, il vero alimento principe per il desco di allora e di oggi. Decidetelo voi.

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