Così Alexandre Dumas ha definito i tre Borgia terribili
di Adriano Marinensi
Ci sono stati, in Italia, due Valentino: uno che di nome faceva Rodolfo (attore e cuore delle donne), l’altro appellato Valentino e basta, che, all’anagrafe, si chiamava Cesare Borgia, autoritario e tracotante membro del trio irriverente, facente capo al Papa Alessandro VI, Pontefice lui come suo zio e protettore Callisto III. Alessandro fu il nome che scelse, ma era nato, in Spagna, come Roderic Llialcol de Borja. Per gli italiani semplicemente Rodrigo. Secondo il monaco Girolamo Savonarola, fu dissoluto e simoniaco, anche per quella convivenza, in Vaticano, more uxorio, con Vannozza Cattanei, coadiuvata nell’alcova dall’amante giovane, Giulia Farnese, maritata Orsini.
Papa Borgia lo avevano eletto gli Eminentissimi ac Reverendissimi Cardinali (in tutti erano 23), nel 1492, anno ricco di storia. Era morto da poco, Lorenzo di Piero de’ Medici, detto il Magnifico, scrittore, mecenate, politico, scampato per un pelo alla Congiura dei Pazzi. Aveva lasciata orfana la Firenze delle meraviglie, lui il padre del Rinascimento fiorentino, durante il quale operarono alla corte dei Medici, artisti come il Pollaiolo, Botticelli, Filippino Lippi, Verrocchio, Della Robbia, Gozzoli. La Signoria dei Medici ha unito il fulgore delle arti, della grande bellezza al rigore dell’amministrazione pubblica, imprimendo sulla città il proprio “marchio di fabbrica”. In quel 1492, Cristoforo Colombo scoprì l’America e il mondo divenne più grande.
Due i figli terribili di Alessandro VI: il sunnominato Cesare e Lucrezia che ne fece di cotte e di crude, sino a morire, si dice, in odore di beatitudine. Il maschio, d’indole guerresca, viene raccontato quale tiranno in perenne ricerca di potere, peraltro ben supportato dal babbo suo. Insieme cercarono di organizzare un Regno all’interno dei territori dello Stato della Chiesa. Territori dei quali allora facevano parte Perugia la ribelle, Terni, Spoleto, Orvieto, Foligno, Assisi ed altre città dell’Umbria.
Certo, quella di Rodrigo e Cesare fu una accoppiata rapace. Cioè – come spiega il significato del termine, il Tommaseo – “ebbe dell’orrore in se: orrida selva, orribile mostro”. Con l’aggiunta di Lucrezia – sostiene Alexandre Dumas – “la trinità diabolica regnò per 11 anni, sul trono pontificio, al pari di una parodia sacrilega della Trinità celeste”. Per realizzare il suo Regno, Cesare organizzò un forte esercito, tanto a pagare le spese ci pensava papà Alessandro. Conquistò un po’ di Marche, di Romagna (Rimini, Pesaro, Cesena, Urbino, persino Bologna), spodestando, senza scrupolo alcuno, le Signorie esistenti. A Forlì, ebbe un “frontale” con la potente Caterina Sforza, che fece scintille.
A ragione di siffatte arroganze, si sfastidiarono persino alcuni sodali che misero in progetto una faida ai suoi danni. Si riunirono nel Castello di Magione, perché – così narra Niccolò Machiavelli – “parse loro il Duca diventasse troppo potente e che fussi da temere”. Per tale motivo, “fecero una dieta dove convennero il Cardinale, Pagolo e il duca di Gravina Orsini, Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, Giampaolo Baglioni, tiranno di Perugia”. Il tentativo di ammutinamento venne alle orecchie del Valentino che s’infuriò alquanto. Anzi, con tutti gli artifizi e le viltà delle quali era maestro, architettò la crudele vendetta.
C’è una lapide a Senigallia, dove si legge: “Nella casa di Bernardino Quartari ebbe luogo, per ordine di Cesare Borgia, l’eccidio di Oliverotto Uffreducci da Fermo e Vitellozzo Vitelli di Città di Castello, il giorno 31 dicembre 1502”. Non dispiacque affatto, al Machiavelli l’imboscata e lui ci scrisse un libretto intitolato: “Descrizione del modo tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il Duca di Gravina Orsini”. Sono i quattro congiurati che avevano incautamente risposto all’invito di Cesare a desinare insieme. Invito, peraltro, formulato con fraterno riguardo. Era d’inverno, le subdole “onoranze” del padrone di casa, il tepore del camino acceso misero i commensali a loro agio. Poi, il luogo del falso convivio si trasformò nella cena delle beffe e quindi nella scena del crimine.
Il “magnifico inganno” era compiuto, con 4 morti uccisi a fellonia. Il fatto trovò addirittura ammiratori, compreso appunto Machiavelli, il quale, tra i capitoli della sua celebre opera Il Principe (De Principatibus) indica a modello di gestione del governo proprio Cesare Borgia. Si tratta di un saggio di dottrina politica per codificare quale fosse il Sovrano ideale e i metodi di conquista e difesa del trono. Vi si parla di “benessere del popolo” ed anche della “capacità di imitare i grandi uomini”; si parla di “arte della guerra” e si sottolinea che “la forza e la violenza possono essere essenziali”. Machiavelli indica persino come necessaria la capacità di “essere simulatore e gran dissimulatore”. Infine, “la capacità di essere leone (la forza), volpe (l’astuzia) e centauro (la ragione)”. Insomma, la sommatoria di virtù e pseudo virtù, tradotte dai posteri con il termine di machiavellismo, un tipo di governo senza coscienza alcuna. Al costume (e malcostume) dei Borgia.
I lebensborn, le “fattorie” della razza ariana
A proposito di soggetti vissuti per realizzare obiettivi prevaricatori, rubo un po’ di spazio conclusivo in tema differente, onde ricordare uno dei grandi crimini del nazismo: i lebensborn, nella nostra lingua, “sorgenti di vita”. Erano luoghi riservati agli accoppiamenti di uomini e donne di razza ariana, al fine di produrre scientificamente, per la Germania del futuro, cittadini di qualità superiore, destinati perciò a dominare il mondo. Un tasso di perversione senza precedenti.
In Italia, verso la metà degli anni ’30 del ‘900, le donne furono invitate (con le buone e le meno buone maniere) a donare le fedi nuziali alla Patria; in Germania, fu richiesto loro di donare qualcos’altro. La fabbrica dei bambini di razza pura, concepita dalle menti supercriminali di Hitler e Himmler, funzionava così: si prendeva uno “stallone” anonimo tra le S. S. più gagliarde e toste; veniva fatto accoppiare con una “fattrice” altrettanto selezionata di sicurissimo profilo ariano. Nascevano così, come in una stazione di monta taurina, tedeschi nuovi, di elevate doti fisiche ed intellettuali. Il progetto lo realizzarono pure nei Paesi occupati, quando migliaia di donne, nubili o sposate, furono arruolate, nient’affatto volontarie, nei lebensborn, mettendo al mondo tanti figli di nessuno. Proprio di nessuno, nessuno. I quali, per l’intera vita, si portarono appresso quella “tara d’origine”. Diventarono gli Adamo ed Eva dell’era moderna, senza antenati, creati ad immagine e somiglianza del nazionalsocialismo efferato. I luoghi per far nascere (i lebensborn) e gli altri per far morire (i campi di sterminio). Il massimo della turpitudine.