Una straordinaria intervista che si “affaccia” sulla storia dell’Umbria
di Adriano Marinensi
Incontrai, come altre volte, Alberto Provantini lungo Corso Tacito, a Terni. Era malato da tempo di tumore, ma l’aspetto non tradiva affatto la grave minaccia alla salute. Nel salutarmi, con la solita facezia, mi disse: “Non ti avvicinare troppo, perché sono radioattivo. Mi stanno curando al massimo, ma io so come andrà a finire”. Andò a finire il 24 gennaio 2014. Furono queste ultime parole a darmi il segno del coraggio e della grande capacità dell’Amico Alberto, di interpretare le vicende della vita; pure quelle personali e tragiche. Lui che le tante vissute dalla gente dell’Umbria le aveva attraversate, pure nella temperie, da protagonista. Deputato, Assessore regionale, Presidente dell’Amministrazione provinciale di Terni e ottimo collega giornalista.
Certo, la mia biblioteca personale che, in casa, riempie più di uno scaffale, andrebbe riordinata. Così non potrà più accadere di ritrovare, soltanto casualmente, libri di notevole interesse come quello dal titolo Quei 9 mila giorni, contenente, tra l’altro, una interessante e complessa intervista proprio a Provantini, curata da Sauro Mazzilli, per le Edizioni Thyrus. Avverte Mazzilli che non si tratta di un libro di storia, quanto invece di “una riflessione sul passato per affrontare meglio i problemi aperti e le questioni future”. La cronistoria del Provantini politico fa quasi parte della cronaca, tanto è recente. Ma lui, nell’argomentare, parte dal tratto di esistenza, sbiadita ormai nella memoria degli umbri. Allora, la miseria e le angosce del tempo di guerra, le macerie dei bombardamenti, che rimasero a lungo per le strade, e io vidi con gli occhi meno fanciulli dei suoi.
I sacrifici della ricostruzione di Terni, fatti, quasi con eroismo civile, dalle “risorte” Istituzioni locali, ad opera dei principali partiti popolari e dal senso di appartenenza di migliaia di cittadini. Lo spirito unitario spezzato dai licenziamenti della lunga notte del ’53, il dramma della disperazione quando 2700 lavoratori persero il posto e si attivarono, in questa parte dell’Umbria, processi di disgregazione economica e sociale.
Ricorda Provantini le povertà della sua infanzia, quando si mangiavano spesso li frascarelli, “mischiando acqua, farina e qualche goccio d’olio”. Si parla dunque e si fa il ritratto fedele di “masse di uomini, passati per epoche diverse, che hanno vissuto le ansie della Liberazione, che sono state l’avanguardia del confronto decisivo per affermare i grandi valori della pace, della giustizia, del diritto al lavoro e alla vita.”
Il tram che passava dinnanzi a casa sua, in Viale Brin, carico di lavoratori. E molti altri “sulle biciclette con le gomme piene, senza camera d’aria”. Poi, la prima festa del 1° Maggio e del Cantamaggio al Palazzone, ch’era pieno zeppo di famiglie proletarie. L’inizio e la crudezza delle lotte operaie, animate da passione politica e spirito di servizio. “Fu allora – aggiunge – che cominciai a tenere per Coppi, il Torino e il P.C.I.: erano per me i simboli del riscatto”.
E l’episodio traumatico del dopoguerra. I licenziamenti – sostiene Provantini – “rappresentarono il costo che la fabbrica e la città pagarono per la riconversione da industria di guerra a industria di pace”. Furono ugualmente un dramma. Parla anche dell’accordo sindacale, costretto a privilegiare l’aspetto sociale di fronte alle dimensioni dissestanti del provvedimento. Che prevedeva “la maggiorazione sulle liquidazioni di 220 mila lire, l’aggiunta di 200 lire al giorno per i corsi di riqualificazione e l’indennità di licenziamento stabilita in 40 mila lire.” Quindi l’osservazione: “Sorprende come, non nel verbale di accordo, ma in una dichiarazione allegata (di sole 20 righe) si parli della parte relativa agli aspetti produttivi dell’Acciaieria.” Evidentemente, il problema delle tante famiglie che avevano di fronte lo spettro disgraziato della miseria, fece da bussola. Scusate questa mia citazione personale. Sentii parlare di un portalettere che consegnava le “raccomandate” ai licenziati e piangendo diceva: “Non è colpa mia!”
La questione occupazionale veniva da lontano e Provantini la sintetizza in numeri parlanti: “Nel 1942, la Soc.Terni impiegava 26.544 lavoratori e, nel 1953, dopo quel taglio, la forza lavoro s’era ridotta a 10.718 unità,” E il processo di caduta non si fermò li, perché “si scese ai 6.000 del 1964.” La vicenda traumatica di inizio anni ’50, a suo giudizio, ebbe pure l’effetto indotto di rinsaldare da un lato le solidarietà tra la classe operaia e dall’altro, “pose fine al grande sforzo unitario che aveva caratterizzato il periodo della ricostruzione.”
C’è notizia, nell’intervista, di un Convegno, precedente al ’53, organizzato dal Consiglio di gestione dell’Acciaieria dove venne fatta “l’analisi della situazione siderurgica da parte del sindacato” e sul Piano Sinigaglia (che pesò come un macigno sulla Soc. Terni, n.d.a.). Il giudizio: “La fabbricazione dell’acciaio con il ciclo integrale, rappresenta indubbiamente un notevole progresso tecnico. Tuttavia – per la sua impostazione politica, per i presupposti di carattere economico – presenta prospettive gravissime per l’economia locale.” Fu preveggente il sindacato in quanto la politica nuova in campo siderurgico stravolse Terni e i territori limitrofi. E la Soc. Terni – sottolinea Provantini – “non avvierà la riconversione, ma licenzierà, con la drammatica ferita del ’53.”
Per la Soc. Terni – la domanda di Mazzilli che chiude il capitolo – “c’era una proposta, una indicazione, una linea?” Risposta: “C’erano delle intuizioni, quella della unitarietà del Gruppo e dello sviluppo delle seconde lavorazioni. Cominciava allora ad essere avviato un processo che, negli anni ’60, avrebbe portato ad una serie di operazioni: Dalla nazionalizzazione del settore elettrico, alla costituzione, con gli americani della United Steel, della Terninoss e, via, via, agli investimenti in settori nuovi come l’inossidabile.”
Ho limitato l’attenzione sulla parte di storia centrata sui licenziamenti del 1952 – 53, perché la trattazione di Provantini abbraccia una serie di eventi narrati con dovizia di dati e osservazioni puntuali, non riassumibili in un articolo. Vi emerge comunque un tratto personale rilevante della sua vita pubblica, non di rado prevalente su quella privata.
Si coglie molta parte del suo pensiero politico strettamente coordinato con l’azione. In maniera sempre coerente e, se necessario, con l’impeto verace della ternanità. D’altro canto, nelle mie intenzioni, c’era il desiderio di esprimere un ricordo dell’Amico e del Personaggio positivo, presente, per lungo tempo, sulla scena dello sviluppo democratico dell’Umbria e del Paese.