E’ morto, ad una età quasi centenaria, il sociologo Franco Ferrarotti
di Adriano Marinensi
Un libro con dedica e spesso una lettera di accompagnamento, spediti ogni volta per posta. Andava avanti, ormai da oltre dieci anni, la mia amicizia con il prof. Ferrarotti, uomo di scienza poliedrica, docente alla Sapienza, “padre” della sociologia italiana, autore di innumerevoli pubblicazioni saggistiche, Deputato al Parlamento, poliglotta, pensatore, conferenziere di notorietà internazionale. Ora non c’è più e, con Lui, l’enorme patrimonio di cultura.
Ferrarotti mi spediva i suoi libri illuminati ed io gli articoli che sono andato scrivendo su questo Quotidiano. Bontà sua, ne faceva sovente brevi “recensioni”. E di alcuni, riferiti agli avvenimenti locali, esprimeva l’apprezzamento (li chiamava le “cronache dal basso”). Tra i più recenti, si parlava soprattutto dei problemi senili che adombrano i tramonti dell’esistenza. Nella lettera che ricevetti giorni appresso (2 febbraio 2024), stava scritto: “Mio caro amico, ho letto, con grande commozione, i suoi articoli. Non posso non ripensare alle nostre passeggiate sul Terminillo. Credo di poter comprendere le speranze, ma anche i timori e i tremori di chi si trova in vista dell’ultima stazione. Ad aprile del prossimo anno – Deo adiuvante – entrerò nel centesimo anno d’età”.
C’eravamo conosciuti salendo, d’estate, le erte balze del Terminillo e l’abitudine dei conversari s’era unita al piacere della quiete montana, dei profumi dell’alpeggio, delle atmosfere limpide e verdi intorno. Amava l’ambiente naturale come me e i numerosi temi da Lui trattati camminando, camminando (io ascoltavo per lo più) davano un senso intelligente ad ogni discorso, ad ogni dialogo. Uomo di scienza all’avanguardia del sapere, dalla acuta capacità di analisi e di giudizio. Si aveva in comune il rispetto per l’ambiente e le tradizioni.
Era arrivato alle soglie del secolo di vita con la speranza di tagliare il traguardo. Non è stato Dio a non aiutarlo. La natura dell’uomo piuttosto che, quando ti avventuri nell’età molto avanzata, all’improvviso, ti presenta il conto. Traccia una linea, fa il totale e il “passaggio” diventa conseguente. Per personaggi come Ferrarotti, quel passaggio sa di malinconico rammarico.
I tanti suoi libri che hanno, nel tempo, arricchito la mia biblioteca, trattano argomenti di attuale interesse. La materia predominante, ovviamente la sociologia. Ma l’analisi politica è penetrante (per esempio, Futurismo come prefascismo oppure La coscienza perduta nella società irretita). Sapeva – sono soltanto altri esempi – di scienze macro economiche (America oggi), aperto alla multietnicità (Oltre il razzismo). Pure poeta, però d’impegno (Dialogo sulla poesia), gli studi e le inchiesta di gruppo (Periferie da problema a risorsa), il severo giudizio sulla mercificazione dell’arte (L’arte nella società).
Quando il “rivoluzionario d’impresa” Adriano Olivetti (quello della “Lettera 22”) disse: “La fabbrica non può guardare soltanto all’indice del profitto. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia.”. E aggiunse: “Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica”. Aveva fatto irruzione il modello olivettiano eil giovane Franco Ferrarotti gli fu da presso nel costruire il modello. Ora la cultura italiana ha perso una grande mente ed uno studioso di nobile impegno che ha prodotto letteratura di importanza accademica.