La congiura in Senato per disfarsi del migliore di tutti loro
di Adriano Marinensi
Pur non essendo un tiranno, Mario Draghi ha fatto la fine di Giulio Cesare: accoltellato in Senato dai congiurati (Forza Italia, Lega e 5 stelle). Omicidio premeditato e aggravato dalla mancanza di valido motivo. Caduto Draghi, insieme all’Esecutivo, proprio quando stava rendendo un autorevole servizio all’Italia ed agli italiani. L’alzata di scudi dei grillini contro il termovalorizzatore di Roma è parsa una trovata fanciullesca. Ed ha messo nella massima luce il loro odierno vagare come anime perse, senza pace, né dimora (Boudelaire). Sta ritrovando invece la sua “intesa vincente” la coppia Berlusconi – Salvini, in vista di un ritorno all’antico populismo conservatore. Vedi: Meno tasse per tutti oppure prima gli italiani oppure indietro i migranti. E la ruspa per smantellare i campi rom.
Se n’è vista subito la nuova immagine a Villa Grande, sull’Appia antica, una delle residenze minori di nonno Silvio. Ha recitato il ruolo di Villa Torlonia un tempo, con il padrone di casa al centro, le mani sui fianchi e la “gerarchia” in cerchio. Questa volta, una assenza illustre: l’azzurra della prima ora, Mariastella Gelmini, che, sbattendo la porta, ha abbandonato Forza Italia.
Sulla vicenda maturata in Senato, puntuale e rigoroso il giudizio del direttore Maurizio Molinari: “La decisione di far mancare il voto a Draghi rende il Paese più debole e vulnerabile. Porre fine al suo Governo è una scelta politica miope che nuoce all’interesse nazionale.” Mi permetto di aggiungere scelta scellerata. Persino Lapo Elkan, che di solito poco ci azzecca nei giudizi, ha affermato: “Complimenti ai fenomeni che mandano a casa l’italiano più rispettato al mondo.”
E si, quando occorreva ammainare i vessilli di partito e sventolare il tricolore, ha prevalso l’interesse personale ed elettorale. Ed ha messo in luce la mediocrità di una classe politica che rischia, in autunno, di guidare l’Italia. Chi è uscita dall’Aula del Senato, scodinzolando di gaiezza, è stata la “nonna, che occhi grandi che hai!”. C’era, poco oltre, un comizio già allestito, dove ha festeggiato la vittoria del suo partito e la sconfitta del suo Paese.
Se c’erano, davanti ai teleschermi, gli incalliti astensionisti, che hanno disertato le urne in occasione delle ultime consultazioni; se stavano guardando in T V la commedia dell’assurdo, a Palazzo Madama, ora avranno eccellenti motivi per disertare pure la prossima volta. Tanta è stata la povertà del dibattito e pesanti gli accenti del confronto. I rappresentanti della maggioranza a beccarsi come i galli (capponi?) di Renzo, Ministri non dimissionari a sfiduciare sé stessi e il proprio operato, i 5 Stelle inventori di un nuovo modello di voto: presenti non votanti. La grande ipocrisia.
Ora la grottesca farsa è finita: purtroppo comincia una fase di rischio estremo per l’Italia, rimasta con il cerino dei suoi tanti problemi in mano, ridotta la stima internazionale, in pericolo i finanziamenti concessi dalla U.E., resi aleatori gli elementi concreti di ripresa dell’economia, a rischio di squalifica i risparmi di una infinità di famiglie. Siamo nella tempesta causata dalla irresponsabilità di alcuni “manovratori”, palesi e occulti, che si sono arrogati il diritto di decidere le sorti del popolo italiano.
Potremmo dire: Chi muore a 98 anni, vissuto è assai; se si chiama Eugenio Scalfari, non muore mai. Se n’è andato il padre dei giornalisti (per molti, il nonno). Una vita trascorsa con la penna in mano ad indagare la quotidianità e spesso trasferirla nella storia. Il maestro, il narratore monumento.Il rivoluzionario dello scrivere ci ha lasciati il 14 luglio, giorno d’inizio della Rivoluzione francese. Il laico che, durante i colloqui con Papa Francesco, ha cercato i motivi dell’essere non credente, il tormento della sua anima spiritualmente inquieta.
“Dybala ci serve come il pane”. In tal modo parlò lo Zaratustra della Roma calcio, Josè Mourino, detto Mou, che non è il verso della vacca. E i dirigenti della lupa, per esaudire all’istante i desideri del Number one, si sono messi a comprare il pane, tanto pane, da riempirne sette ceste capienti. Il Numero uno di nuovo: “Non il pane ci serve, ma l’ex juventino”. Chiarito l’equivoco e rivenduto il pane, hanno comprato l’ultimo pibe de oro in circolazione. Poi, gli hanno messo la maglia rossa, con leggero bordo giallo, recante il glorioso 10 di Totto Totti. Grazie, egli ha detto, meglio il 21. E i tifosi della lupa a cantare: “Roma (pallonara) non fa la stupida stasera, dacce er mejo Dybala che fa gol!”
In un tempo che vede i prezzi dell’energia schizzati in alto, a subire pesanti conseguenze sono le aziende cosiddette energivore. Per esempio, l’Acciaieria di Terni. I produttori dell’acciaio tengono lo sguardo rivolto alle quotazioni del kilowattora, oggi cento volte quello del 2019. Secondo un “acciaiere” di punta, in autunno, potrebbe toccare gli 800 euro.
Le principali conseguenze previste sono: 1) Il fermo di molti impianti di produzione; 2) il massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali. In Umbria, la raccomandazione agli Enti regionale e locale, al Sindacato, ai partiti, alla classe dirigente, di stare in campana e monitorare quotidianamente la situazione dell’azienda che funziona da volano per l’economia generale e il benessere dei suoi lavoratori.
E’ vero che, in politica, non sono pochi a dire “pane al vino e vino al pane”. Però, Gigino Di Maio, in quest’arte, ha un pochetto esagerato. Sentite qua (Susanna Turco – L’Espresso): 21 marzo 2018 (correva il tempo della scatoletta di tonno da svuotare dell’avariato contenuto n.d.r.) “Dimostreremo – a nome dei guerriglieri cinquestelluti – che la politica si può fare in altro modo”. Poi, invece, il mese corrente: “I 5 stelle (ormai ex suoi amichetti) stanno generando instabilità e mettendo a repentaglio gli obiettivi che tentiamo di raggiungere come Paese”. Dunque, il grillismo barricadero, sostiene il suo ex Capo politico, è diventato manovratore di trame. Il tempo passa, l’incoerenza resta.
Concludo dando un po’ di gas. La situazione italiana è la seguente. Riceviamo ogni giorno quasi 230 milioni di metri cubi. Primo fornitore l’Algeria, secondo la Norvegia, terzo l’Azerbaigian; quindi la Russia. Ultima classificata la produzione interna: circa 9 milioni di metri cubi. Una bazzecola.