Milioni di profughi pronti a morire pur di raggiungere la terra promessa
di Bruno Di Pilla
Nel mondo sono decine di milioni poveri e migranti, non solo africani e ucraini, pronti a sfidare la morte pur di approdare in Europa. I dati statistici richiamano alla mente il drammatico grido d’allarme lanciato due secoli fa dai liberisti Malthus e Ricardo, “eretici” allievi di Smith. Ogni offerta crea la sua domanda? A smentire l’ottimismo del francese Say, araldo del pensiero smithiano, fu il celebre carteggio trentennale fra i due economisti classici inglesi, che misero in luce le contraddizioni insite nel nascente capitalismo, purtroppo ancor oggi attualissime.
La miseria e la tendenza al sottoconsumo dei disperati popoli in fuga, a fronte della crescente capacità produttiva, vennero infatti denunciate con forza dagli autori della lunga corrispondenza epistolare, i cui contenuti sarebbero stati ripresi da Marx e dallo stesso Keynes, il quale elaborò la teoria della tendenziale caduta del saggio di profitto, provocata dall’incapacità della domanda aggregata di assorbire beni e servizi prodotti dalle imprese.
Come sconfiggere il malinconico ristagno e le crisi cicliche di sovraproduzione? Poiché il capitalismo ha ampiamente mostrato di non avere meccanismi automatici di riequilibrio tra offerta e domanda, l’unica terapia consiste nel deciso intervento della mano pubblica, in tal caso rappresentata dall’azione congiunta dei 27 Paesi unionisti, alle cui Istituzioni (Parlamento, Commissione e Consiglio) spetta il compito di elaborare un piano di razionale accoglienza e successiva integrazione dei profughi in arrivo specie durante le stagioni estive. Concepito su larga scala, il welfare state keynesiano è il solo in grado di correggere le distorsioni del libero mercato, arginando la disoccupazione e le gravi ingiustizie sociali del “laissez-faire”, con la concentrazione della ricchezza in ristrettissimi gruppi di plutocrati. Né vanno dimenticati gli appelli ad una maggiore equità interclassista dello storicista tedesco List, del socialista ricardiano Mill e di Alfred Marshall, capostipite della scuola marginalista e maestro di Keynes, in vario modo tutti preoccupati di rendere più solidale il volto del liberismo.
Ai neomonetaristi della scuola di Chicago, che anche oggi si ostinano a propugnare l’abolizione del welfare, si oppongono i neo-keynesiani di Cambridge, solleciti nell’auspicare interventi finanziari degli Stati e concreti aiuti a persone e famiglie in difficoltà. D’altronde, per sua stessa natura, l’attività economica non serve a soddisfare i bisogni umani, specie quelli primari di sussistenza?