La “potestà” di Governo attrae come una calamita
di Adriano Marinensi
Scrissi, in un passato quasi remoto, della visita di Benito Mussolini, a Terni, nel 1931, per l’inaugurazione del Canale Medio Nera che porta l’acqua al Lago di Piediluco. E di Lui in piedi, fotografato in posa eretta sul monumentale viadotto di Rosciano, presso Arrone: Un monumento sopra un monumento. Scrissi seguendo la prosa smielata, tramandata alla storia da un manutengolo di regime. Quel tipo di giornalismo “appecoronato” sotto il balcone di Palazzo Venezia. La data di stampa è MCMXXXII – Anno X dell’Era fascista. Una ricca fotocronaca sottolinea “il giubilo – si legge in prima pagina – che suole accompagnare un grande ed atteso avvenimento”.
Avvenimento di quasi un secolo fa, quando non c’era la TV e quindi l’effigie, opportunamente manipolata, aiutava il servo encomio. La prima stampata sul libercolo è sintomatica: fa vedere i manifesti tricolori (anche se è in bianco e nero), sormontati dal ripetuto tre volte DUCE, DUCE, DUCE, clamante quanto il popolo. Perché, “il Capo del Governo e il fascismo – parole del manutengolo – vedono in Terni una delle più salde e sicure roccheforti, fatte di dedizione e di fede, di ardimento e di fedeltà”. Certo, gli osanna e gli archi di trionfo sentiti e visti quel giorno, testimoniarono a favore. Parimenti al braccio romanamente teso delle assiepate falangi in uniforme.
Ne da testimonianza storica anche Pompeo De Angelis, accreditato studioso degli accadimenti locali. In questo modo: “Anno 1940, i ternani iscritti al fascio sono 22.286 uomini, 2.567 donne più 4.712 massaie rurali, più ancora 1.433 operaie. I giovani fascisti di ambo i sessi 8.109, i partecipanti alla GIL (Gioventù Italiana del Littorio) 37.194, i dopolavoristi – tenuto conto delle sovrapposizioni di tessera, spiega De Angelis – 27.515”. Per una città dall’indice demografico non molto alto, si potrebbe dire tanta roba. Aggiungendo che appena dopo la fine della guerra, in gran numero, i camerati divennero compagni.
Quel 1931 fecero tappezzeria in delirio al passaggio dell’uomo mandato dal destino. Almeno, se si da credito all’incensatore sunnominato. Anche questo documenta la capacità di attrazione del potente di turno, nella fattispecie, imposto dal regime. Però, pure in libertà e democrazia, si evidenzia, in talune circostanze, che la sudditanza diventa modello di comportamento per attaccare l’asino dove vuole il padrone. E magari trarne beneficio.
Ma torniamo ai giorni nostri ed al potere che fa da calamita. A far data dal 23 ottobre 2022, ho iniziato una bizzarra collezione. Ho messo da parte le pagine di carta di un giornale assai seguito, autoproclamatosi quotidiano indipendente, pagine che parlano di Giorgia Meloni, Capo del Governo, sostenuta dalle destre italiane. Messe insieme per comandare, con più disaccordi che accordi: Vedere ad esempio la riforma delle autonomie regionali, intestata a Calderili e ispirata al leghismo della prima ora, quello dei lumbard, del celodurismo e della scissione nordista. Mi hanno colpito le foto, pubblicate nel contesto di articoli di cronaca politica tessuti intorno alla Premier. Foto a colori, si capisce, ammanierate, molte in dimensioni badiali e pose scenografiche da provino per film.
Sino ad oggi (17 gennaio) 86 giorni, meno alcune festività di fine anno, 58 fotografie e una cinquantina e passa di Meloni sui titoli scritti a caratteri cubitali. Meloni sopra e Meloni sotto. Di tali fotogrammi, n. 29 in giacitura solitaria sorridente, biondo platino crinita, parrucchiere al seguito. Mediamente all’incirca cm.20 (4 colonne) per 15, alcune 24 per 18., una addirittura 30 per 18, vale a dire formato base a pagina quasi intera. La migliore quella pubblicata il 28 ottobre. Insomma un bel vedere e un’ottima grancassa. Manco fosse l’organo ufficiale del Partito meloniano. Oppure si?
D’altro canto, si tratta dello stesso quotidiano che, all’avvento del Dux, si esprimeva così: “Se i gesti di questo superbo tipico uomo latino, rappresentano l’istinto d’opera e di ascensione del suo popolo, si può ben dire che la sua parola, dolce e dura, immaginosa e sprezzante, esprima, in una trasparenza di cristallo, tutta la vivente varietà del suo spirito creativo che mai non ristà” (9 giugno 1923). Dal punto di vista giornalistico, significa che quando si è orsi, vedendo il miele, si corre a leccarlo.
Oggi, in Italia, per un sole – Giorgia che sorge (una volta si cantava “libero e giocondo”), altri sono in fase di tramonto: a destra dietro “i colli fatali di Roma”. Matteo il Vecchio (per distinguerlo dal Renzi detto il Giovane), quello, per capirci, del Papeete di Milano Marittima e di tante altre fantastiche apparizioni, è quasi scomparso dai radar, come un aereo caduto. A schiumare (una lumaca nell’aceto) c’è Nonno Silvio, messo in quarantena. A lui, ex Presidente del Consiglio, nessuno chiede più consigli. Lo scettro gli è sfuggito di mano. Il famoso radiocronista Claudio Ferretti avrebbe detto: C’è una donna sola al comando, veste la maglia di Fratelli d’Italia, il suo nome è Giorgia. Il potere e la ribalta sono soltanto cosa sua. Il resto è contorno.