Irma Grese e Ilse Koch furono “campionesse” di crudeltà e depravazione
di Adriano Marinensi
La storia non ha più dubbi sullo spessore d’infamia dei lager nazisti, dove milioni di persone furono uccise dopo patimenti e schiavitù. Nel compimento di atti crudeli non vi fu “differenza qualitativa “ tra i due sessi. Anche molte donne mostrarono un particolare tasso di criminalità ed istinti palesemente ignobili. E fecero a gara di sadismo con gli uomini che avevano sull’uniforme il teschio di morto. Un paio di esempi, indicati con nome e cognome, sono quelli di Irma Grese e Ilse Koch che ostentarono impassibilità di fronte a qualsiasi sofferenza altrui. La Grese divenne diretta collaboratrice del famigerato dottor Josef Mengele.
L’infamia degli studi sui gemelli
Don Abbondio avrebbe chiesto: Mengele, chi era costui? Fu un medico sperimentatore di teorie anatomiche nel settore dei gemelli. Si mise in luce (sinistra) nel campo di sterminio di Auschwitz. Aveva creato un centro operativo per effettuare ricerche sui bambini nati uguali. E se li andava a cercare ad ogni arrivo dei vagoni piombati, perché non fossero mandati direttamente nelle camere a gas. Diceva che “sarebbe stato un peccato contro la scienza, non utilizzare le ampie possibilità che il campo offriva”. Possibilità di intervenire sui vivi e su gli altri uccisi, tutti trattati da cavie di laboratorio. Il cinema ha descritto la figura ed il ruolo di Mengele in due film famosi: Il Maratoneta, con Laurence Olivier e I ragazzi venuti dal Brasile, protagonista Gregory Peck.
Gli istinti belluini di Irma Grese
Irma Grese affiancò l’attività del medico e svolse pure un ruolo autonomo di violenza sulle recluse. Le faceva spogliare e aizzava contro di loro i cani feroci che finivano per sbranare le vittime. Studiava e metteva in atto atrocità alle quali usava assistere con piacere. La depravazione, attestarono in tribunale, faceva parte dei suoi comuni sentimenti. I giudici scrissero nella sentenza: “Una cosa è percuotere, torturare, uccidere la gente; un’altra è divertirsi nel farlo.”
Si sceglieva gli amanti tra gli internati, quindi li faceva uccidere, al pari della mantide religiosa. Insomma, un mostro. Come mostruoso fu il campionario di efferatezze compiute dai seguaci di Hitler durante la soluzione finale. Ci sono documenti filmati che testimoniano l’orrore: Le ruspe usate per gettare gruppi di cadaveri nelle fosse comuni. Oltre alle foto che mostrano i forni usati per distruggere i cadaveri. Altro che l’olocausto non è esistito, come sostengono, ancora oggi, i cialtroni negazionisti.
La “cagna di Buchenwald”
Di tali riti macabri si rese corresponsabile Irma Grese. Si può dire eguagliata soltanto da Ilse Kock, la “cagna di Buchenwald”, l’altro ben noto campo dove morì la principessa Mafalda di Savoia. Si dice che Ilse collezionasse brandelli di pelle sui quali era impresso il numero di riconoscimento dei deportati. Al processo ci fu chi testimoniò di aver visto paralumi e guanti da lei fatti confezionare con la stessa pelle umana.
Poteva realizzare i propri istinti belluini perché era la moglie del Comandante del lager. Usava uno scudiscio per frustare, senza motivo, gli internati che incontrava, dentro e fuori le baracche. Teneva sulla scrivania due teschi mummificati. I colleghi delle S. S. accusarono il marito di abusi e di pessima gestione del campo. Addirittura fece assassinare un medico ed un infermiere che gli avevano diagnosticato una malattia venerea, per mantenere il segreto. Finì dinnanzi al plotone d’esecuzione nazista. Ilse Koch venne condannata all’ergastolo. Si uccise in cella nel 1967.
L’indottrinamento all’odio razziale
Per entrambe le aguzzine, una vita dai connotati feroci, tradotti in fantasie diaboliche. L’impulso al male fu integrato dall’indottrinamento all’odio operato dall’ideologia nazista. Irma Grese non riuscì a sfuggire alla cattura ed alla condanna alla pena capitale. Poté “fregiarsi” del titolo di donna più giovane giustiziata per crimini commessi nel corso della 2^ guerra mondiale. Salì sul patibolo a 22 anni, senza mostrare alcun pentimento dei delitti commessi. Il suo bello aspetto smentì la teoria dei filosofi antichi che volevano la bellezza sempre accompagnata dalla bontà.
L’episodio seguente appartiene, anch’esso, alla cronaca dell’epoca e merita una particolare citazione. Siamo in un giorno dell’anno 1945 inoltrato, quando un gruppo di ragazzini, tra i 4 e i 12 anni, di varie origini e nazionalità, fu ospitato in una villa inglese. Bambini sopravvissuti alla casa del diavolo dei campi di sterminio, dove non si ebbe misericordia neppure per i neonati. Trovati appena in vita, ridotti pelle e ossa, lo sguardo fisso senza espressione, l’incubo del terrore che li seguiva come l’ombra.
I bambini che subirono il Calvario e la Croce
Scopo dell’ iniziativa, far tornare sembianze di umanità in quei volti, dando un cambio alla loro esistenza. Cresciuti nell’inimicizia, quando gli affetti sono l’elisir del vivere, s’erano portati appresso il calvario e la croce. Rifiutavano i cibi comuni, perché ne avevano dimenticato il sapore, abituati ad usare le posate di latta per mangiare il rancio insipido.
Respingevano l’uso dei materassi soffici, troppo diversi dai tavolacci delle baracche. Qualcuno, all’inizio, sotto il letto, sul pavimento, andava a dormire. Ricordate il corpo denutrito de “Il bambino con il pigiama a righe”? Molti erano orfani, siccome i genitori erano passati per il camino, come i nonni e i fratelli. Trarli fuori dall’abisso profondo non fu facile. Avevano incontrato l’uomo lupo, il più malvagio animale del mondo.